Nuova collezione woke: la lana dei montoni gay

La nuova frontiera politically correct: parte del ricavato del progetto di Rainbow Wool andrà alla Federazione Queer Diversity

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montoni gay

Tenetevi forte, aggrappatevi ai maniglioni e nessuno spinga. in questi casi di solito uno commenta: questa la dovevo ancora sentire. Ecco, adesso la sentite: “Rainbow Wool [lana arcobaleno], arriva la prima collezione moda realizzata con lana di montoni gay”. E no, non è un film di Lino Banfi coi montoni ricchioni, succede davvero, come informa un articolo pubblicitario, ma più pubblicitario, di Vanity Fair: “Il filato proviene da una fattoria di Löhne, in Nord Reno-Westfalia: qui gli ovini che non vogliono riprodursi (e che quindi, di solito, finiscono al macello) possono godere di una lunga vita e fornire lana di alta qualità. E il cantante dei Tokio Hotel, Bill Kaulitz, ne ha già adottati due”. Ah, beh, allora, apposto.

Tutto molto bello, come direbbe Bruno Pizzul, ma non è mai come sembra, è tutta una montatura, una forzatura woke, una sporca faccenda, Callaghan: i montoni gay, messa così pare una tautologia, un pleonasmo, un circolo vizioso, un serpente che si morde la coda. Invece no. È tutto estrapolato, stravolto, distorto, non sta in piedi: ma chi l’ha detto, ma dove sta scritto che se un ovino non vuole congiungersi allora è dell’altra parrocchia? Questi sono volgari stereotipi, pregiudizi degni della più bassa propaganda patriarcale: è un montone che semplicemente non monta, non gli va. Le cose sono chiare, semplici, lineari, come dice Zoff. Se il montone monta altri montoni, allora è gay. Se non monta nessuno è solo un asessuale, ce ne sono tanti, sapete?

Ma l’altra propaganda, quella woke, quella politically correct, ma soprattutto arraff, non cede, è implacabile: “È arrivata la prima collezione di moda al mondo realizzata con lana di montoni gay: si chiama Rainbow Wool e contribuirà a finanziare le attività della Lsdv+, la Federazione Queer Diversity in Germania”. Come volevasi dimostrare: ogni salmo woke finisce in soldo; nel soldo e nella militanza, quanto dire l’affarismo moralistico che si autoalimenta.

“Il filato di Rainbow Wool proviene da una fattoria di Löhne, in Nord Reno-Westfalia, di cui si occupa il pastore Michael Stücke, membro dell’Associazione Gayfarmer. Questo filato, utile per molte applicazioni creative, può essere utilizzato direttamente nel ricamo industriale e nella produzione di abbigliamento, ed è prodotto con la lana di oltre 20 pecore gay (sic) che, al posto di essere macellate, nella fattoria arcobaleno possono godere di una lunga vita e fornire lana di alta qualità per look di tendenza”. La meraviglia! Missionari in posizione per pecorine smarrite.

“La collezione Rainbow Wool è composta da pezzi come lacci per le scarpe, toppe e berretti. Questa collezione di moda, finora unica al mondo è disponibile su questo sito, e il ricavato dalla vendita sarà devoluto a Lsdv+, che lo utilizzerà per sostenere progetti globali a favore delle persone Lgbtqia+ in paesi ostili ai queer, come il Queer Emergency Aid in Uganda. L’omosessualità, d’altra parte, è ancora un crimine in 62 Paesi del mondo ed è ancora talvolta sanzionata con pene drastiche: in 12 di queste nazioni è ancora punibile con la pena di morte”. Che vi dicevo? Tu chiamalo se vuoi capitalismo woke, come il saggio di Carl Rhodes. Buone cause per buoni affari, ma funziona anche in senso invertito. Comunque certi pubblicitari in funzione di giornalisti se li facessero, due conti: se in 62 Paesi i gay vengono macellati, e non solo montoni, come fanno poi a sputare sempre solo sull’Occidente che viceversa li fa ricchi, i fluidi, esaltando gli islafanatici di tutto il mondo, unitevi, che al contrario li sterminano in nome di chissà quale dio? Come le testine di vitello che sfilano coi vessilli arcobaleno per Hamas.

“Il pastore Michael Stücke propone anche l’adozione a distanza delle pecore: ‘Con le entrate aggiuntive del progetto l’obiettivo è espandere per quanto possibile il mio gregge e salvare più pecore, così da produrre più Rainbow Wool e quindi sostenere ancora più iniziative in tutto il mondo che consentono alle persone queer di vivere una vita sicura e paritaria’, spiega”. Bravo, sette più. Quello che non spiega, il pastorello, è che in tal modo ci guadagna la sua azienda. Piacerebbe inoltre sapere, sempre se non fa schifo, se non suona troppo sessista, quanti di quei ricavi finiranno effettivamente nei forzieri della federazione diversity crucca, al netto delle spese, dei costi, degli investimenti in comunicazione, del riscaldamento globale. Sennò va sempre a finire come i pandori di Chiara Ferragni (a proposito, la favolosa imprenditora digitale è stata commissariata, non sa far niente, è una suoermanager di e per se stessa, modello Tavares).

Sarà pure una intrapresa meritoria, ma il profumo di affari qua si sente dappertutto: niente di male, ma è troppo facile fare i montoni froci con la lana (e la lagna) degli altri.

Max Del Papa, 1° novembre 2024

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