Non si capisce bene quale sia la fonte e, considerato quanto scritto su Mattarella e l’Autonomia differenziata per essere smentiti dopo quattro giorni, non è neppure detto che ci si possa poi fidare così tanto di Repubblica. Però la partita delle nomine in Europa è roba seria e di certe notizie, mezze frasi, ragionamenti che finiscono sui giornali, è sempre meglio dare conto. Pare infatti che i “negoziatori” del Ppe, del Pse e di Renew abbiano lanciato un “avvertimento” a Giorgia Meloni: o ti adegui al “pacchetto” presentato dagli sconfitti alle elezioni, oppure l’Italia rischia sui conti. “Isolarsi non conviene. Mettersi in un angolo verrebbe percepito dai mercati come un elemento di debolezza. E l’Italia rimane, sotto questo punto di vista, un osservato speciale”.
Vero? Falso? Vedremo. Quel che è certo è che il Consiglio Europeo che si apre oggi e che da cui dovrà uscire il poker di nomi per i top jobs Ue si preannuncia infuocato. Ppe, Pse e Liberali hanno chiuso l’accordo su Ursula von der Leyen (Commissione), Antonio Costa (Consiglio) e Kaja Kallas (Esteri) senza coinvolgere Giorgia Meloni. Una “conventio ad excludendum” che premier ieri alla Camera ha stigmatizzato, lamentando metodo e merito, contestando di fatto l’esclusione dalla partita dell’unico governo uscito vincitore della elezioni. L’Ue ha preferito la logica dei “caminetti” a quella del peso elettorale delle forze. Ma se è vero che, come fa sapere anche Sergio Mattarella non si può “prescindere dall’Italia”, è probabile che alla fine una certa convergenza andrà trovata. Soprattutto se al Belpaese venisse assegnata una vicepresidenza esecutiva e un portafoglio economico di peso. In caso contrario, l’idea del governo italiano sarebbe quella di una votazione modulata: votare “no” alla nomina di Costa, viste anche le parole di fuoco del Pse contro l’Ecr, e astenersi sugli altri due.
Il segnale politico sarebbe ovviamente enorme. Ma le parole di ieri del premier hanno lasciato intendere che la trattativa, benché ancora in piedi, non si stia sviluppando sotto i migliori auspici. In Consiglio il peso italiano non sarà determinante: a Ursula e soci bastano 15 voti su 27, che rappresentino il 65% degli elettori degli Stati membri, per ottenere il via libera. E visto che solo Italia, Ungheria e Slovacchia hanno storto il naso, non dovrebbero esserci sorprese. La palla però poi passerà al Parlamento Ue. E qui tutto potrebbe complicarsi. Renew Europe, i liberali di Macron, non sono più il terzo gruppo superati ormai dal Conservatori della Meloni. La maggioranza numerica del blocco europeista c’è, sia chiaro. Ma a Strasburgo l’alto tasso di franchi tiratori (10-15%) e le maggioranza variopinte che si creano sui vari dossier, obbligheranno Ursula ad allargare il perimetro dei suoi sostenitori. E non sarà facile.
Renew e Pse, infatti, hanno posto un veto ai conservatori. Ma il Ppe, o almeno un pezzo, potrebbe fare lo stesso con i Verdi e la Sinistra. Antonio Tajani l’ha detto chiaramente: Forza Italia voterà questo pacchetto di nomine, ma non sosterrà una Commissione allargata agli ambientalisti.