Ciò che impensierisce di più i progressisti da quando lo scrutinio ha palesato quale sarà il neo-inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, è il pericolo di una presunta deriva autoritaria, posta in essere da colui che rappresenta l’apoteosi della lotta al politicamente corretto, alle follie woke, alle politiche green. Questa non è di certo la visione del popolo americano, ma d’altronde se i democratici fossero stati in linea con i sentimenti degli elettori, le urne avrebbero rivelato un risultato diverso.
Ciò su cui dovremmo veramente porre l’attenzione, invece, è la posizione che gli Stati Uniti si apprestano a prendere in merito alla guerra in Ucraina. In materia di difesa e di politica estera le intenzioni del leader repubblicano sono trasversali rispetto a quelle attuali. Trump ha fatto della risoluzione del conflitto un punto cardine della sua campagna elettorale, anche se questo sembra andare a scapito dell’Ucraina. È di ieri la notizia della presunta telefonata del tycoon a Putin, dove quest’ultimo sarebbe stato sollecitato a fermare l’escalation. Poco dopo è arrivata la smentita da parte di Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, il quale afferma che “non c’è stata alcuna conversazione” e definisce le indiscrezioni del Washington Post “come pura fiction”, assicurando che la Russia proseguirà con la cosiddetta operazione militare speciale in Ucraina “fino a che tutti gli obiettivi stabiliti non saranno raggiunti”.
Siamo arrivati ad un punto critico del conflitto: Kim Jong-un ha ratificato oggi il trattato di difesa reciproca con Mosca, ha già inviato più di dieci mila soldati a combattere a fianco delle forze russe, questo rappresenta di fatto l’inizio di una partecipazione attiva da parte della dittatura coreana nella guerra. Secondo il New York Times, 50 mila soldati sarebbero pronti ad una controffensiva su larga scala, con l’obiettivo di recuperare i territori persi nella regione russa del Kursk, inoltre Mosca sta svolgendo un massiccio attacco di droni a danno di Kiev.
Questo momento di stallo, in attesa dell’insediamento del nuovo Presidente americano, sembra rappresentare una vera e propria staffetta, dove Putin, nell’attimo delicato del passaggio del testimone dalle mani di Biden a quelle di Trump, sembra trovare l’incentivo per spingere più che mai la sua offensiva.
Mai come adesso l’Unione Europea deve mostrarsi compatta ed assumere una posizione netta. Deve decidere se continuare a mostrarsi accondiscendente nei confronti degli Usa, facendo passare il messaggio che non conta ciò che mettono sul tavolo gli Stati Uniti, basta stare al tavolo con loro, anche se questo costringerà gli ucraini ad una resa. Kiev si vedrebbe sottratta una fetta importante del suo territorio, creando un precedente pericoloso con chi vede l’Occidente come un nemico da abbattere. Oppure, l’Ue potrebbe incrementare gli aiuti all’Ucraina, eliminando le restrizioni che le impediscono di utilizzare le armi sul suolo russo, e quindi di condurre una guerra alla pari. Rischiando tuttavia un’escalation mondiale.
Ci troviamo davanti ad un bivio: abbandonare l’Ucraina, la cui resa consisterebbe in un segnale di debolezza dell’Occidente; o iniziare a mostrare i muscoli, facendoci carico delle conseguenze che ne comporta. Cos’è meglio per noi? Seguire la linea di Trump può sembrare la mossa più conveniente per l’Ue, ma a lungo termine questa scelta potrebbe servirci il conto. E il prezzo sarà salato.
Massimiliano Bertagna, 12 novembre 2024
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