Nel nuovo numero di Nuova Storia contemporanea, il quadrimestrale magistralmente realizzato da Francesco Perfetti, val la pena leggere l’approfondimento sul filosofo e pensatore politico Michael Oakeshott (1901-1990). Ne scrivono tra gli altri, Alberto Mingardi, Agostino Carrino e Giovanni Giorgini. Come nota bene Mingardi «il suo conservatorismo si fondava sull’idea che esistesse una propensione, un’inclinazione conservatrice, la quale precede qualsiasi sentimento politico». Qualche cosa di prepolitico, verrebbe la voglia di dire.
Giovanni Giorgini specifica meglio, citando Oakeshott: «Essere conservatori significa allora preferire ciò che è familiare a ciò che è ignoto, ciò che si è provato a ciò che non si è mai provato, il fatto al mistero, il reale al possibile, il limite all’illimitato, ciò che è vicino a ciò che è distante, il sufficiente al sovrabbondante, ciò che è adatto allo scopo a ciò è perfetto, la gaiezza presente alla beatitudine utopica. Inoltre, essere conservatori non significa meramente essere avversi al cambiamento (questo potrebbe apparire un’idiosincrasia); si tratta anche di una maniera di abituarsi al mutamento, un’attività a cui nessun uomo può sfuggire. Il mutamento è, infatti, una minaccia all’identità, e ogni mutamento è il simbolo di una scomparsa».
La sua forza, che affascina ogni liberale, è anche la sua allergia nei confronti di qualsiasi ideologia, come scrive Carrino, e l’inclinazione ad avere rispetto per la propria storia. Se si volesse forzare si potrebbe dire anche: rispetto verso i risultati conquistati grazie a quell’ordine spontaneo, di hayekiana memoria.
«C’e in Oakeshott qualcosa di rarissimo fra gli intellettuali: un’autentica simpatia verso la realtà della società per come è e non per come dovrebbe essere, coi suoi bambini che strepitano e si mettono le dita nel naso, con le cassiere che ruminano la gomma da masticare, con le sue corse di cavalli e le sue corride e, perché no, coi suoi allibratori. E opinione diffusa che il conservatore idealizzi il passato, invece il conservatore oakeshottiano e colui che apprezza il momento presente e il passato nella misura in cui l’ha reso possibile» scrive, con precisione, Mingardi.
Oakeshott è pur sempre un pensatore pro mercato, «per la rule of law, per le libertà individuali (ma non in astratto), però è anche capace di cogliere la storicità profonda di istituzioni non proprio riconducibili all’idea liberale». Da approfondire.
Nicola Porro, Il Giornale 6 giugno 2021