Sempre perseguendo nel tentativo di infrangere un po’ di retorica su molti, delicati argomenti degli affari esteri, ci produciamo in una difesa del grande “nemico dell’Europa” Viktor Orbàn. Se la politica nostrana, assieme a molti commentatori incauti, guardano al premier ungherese con disprezzo e repulsione per via delle sue scelte politiche illiberali, noi, essendo inattuali, cerchiamo di metterne in luce il ruolo (assai rilevante) nello scacchiere europeo. Per capire la figura di Orbàn occorre tornare indietro nel tempo e guardare alla storia ungherese del primo ‘900, in particolare ai momenti che seguirono la dissoluzione dell’impero Austro-Ungarico dopo la Prima guerra mondiale.
Il 4 giugno del 1920 all’interno delle incantate volte marmoree del palazzo del Trianon, a Versailles, fu siglato il Trattato di Trianon, con il quale le potenze vincitrici della Grande Guerra stabilirono i nuovi confini del neonato Regno di Ungheria, sorto per l’appunto dopo la dissoluzione dell’Austria-Ungheria. Questo giorno viene ricordato come una delle più grandi tragedie per il popolo ungherese che, in una notte, perse più della metà del suo territorio nazionale (spartito tra Serbia, Croazia, Slovenia e Romania). La popolazione passò da diciannove a sette milioni di abitanti a causa della diaspora. Gran parte delle terre coltivabili e delle risorse naturali della regione magiara finirono nella disponibilità di altri paesi che avevano annesse porzioni significative di territorio.
Questo evento storico è alla base di quasi tutte le politiche irredentiste e nazionaliste dei governi ungheresi, di cui Orbàn è l’ultimo esempio e più acceso interprete. Il premier ungherese è assiduamente impegnato anche nell’instaurare legami con la numerosissima comunità magiara in Romania, costruendo una comunione di intenti politici che, nel grande gioco balcanico, riveste una notevole importanza. È nota, inoltre, una certa “simpatia” tra Orbàn e Vladimir Putin, affinità che si è manifestata nell’indisponibilità dell’Ungheria a far transitare le armi dirette a Kiev sul proprio territorio. Questa vicinanza tra Budapest e Mosca, al di là della facile retorica sul rispetto dei diritti umani e sulla illiberalità, è ispirata a seri principi di realpolitik e può esserci molto più utile di quanto si pensi.
Abbiamo già ricordato su questo sito l’importanza strategica per la Russia di avere ai propri confini dei paesi “non minacciosi”. La presenza di governi non apertamente ostili a Mosca (o filorussi se preferite) può urtare la nostra sensibilità di liberali, ma consente alla Russia di ampliare il suo margine di sicurezza geografico, dissuadendo il Cremlino dal ripetere quello che è accaduto in Ucraina. In questo senso i Balcani rappresentano uno scenario di contenimento fondamentale. Non a caso fin dai tempi degli Zar, i russi hanno sempre fomentato i nazionalismi locali nel nome del “panslavismo”.
Per questi motivi, il filo-putinismo di Orbán è assai più importante di quanto non ci appaia, rendendo l’Ungheria un ideale stato-cuscinetto tra Europa (dunque NATO) e la sempre più occidentalizzata Ucraina, esattamente come la Bielorussia rappresenta l’argine con la militarizzata Polonia. Anche gli illiberali possono avere un ruolo importante, sebbene la cosa possa dispiacerci. Tenere l’est Europa in una condizione relativamente filorussa è una strategia che potrebbe prevenire l’allargamento del conflitto ed evitare nuove future invasioni. Per cui, prima di dare addosso ad Orbàn e inneggiare alle varie Salis, pensiamo a cosa ci conviene davvero.
Francesco Teodori, 9 giugno 2024
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