Se Cossiga è diventato il «Picconatore», non è che ora il nostro presidente della Repubblica si mette a fare il «Mattarellatore»? Gli indizi ci sono tutti. A ventiquattr’ore dal voto in Sardegna, nel suo comunicato sui disordini di Firenze, ha infilato per ben due volte, a questo punto non casualmente, il termine manganello, di mussoliniana memoria. E questa sua ultima esternazione è stata forse addirittura decisiva per la vittoria sarda della sinistra tanto che l’arguta Alessandra Todde ha potuto commentare con efficacia: «Abbiamo risposto con le matite ai manganelli».
Già sapevamo quanto il capo dello Stato fosse ormai logorato dai continui strappi del governo, dai balneari agli ambulanti fino alla legge sulla concorrenza, sulla quale addirittura aveva sentenziato: «Proroghe eccessive e sproporzionate». Ma, per capire da dove nasce il nuovo Mattarella interventista, bisogna tornare indietro alla sua natura di democristiano di sinistra. Leggendo, in particolare, le poche righe di una recente nota relegata a trafiletto da Il Corriere della Sera, firmata da alcuni cavalli di razza della Dc, tra cui quel furetto indomito di Paolo Cirino Pomicino e l’intramontabile Clemente Mastella, e soprattutto Calogero Mannino, grande conoscitore della famiglia del presidente della Repubblica che, proprio assieme a Mattarella, si dimise dal governo Andreotti in polemica con la legge Mammì sul riordino dell’emittenza televisiva.
Questo manipolo di sopravvissuti, in merito alla riforma costituzionale presentata con le fanfare dal governo Meloni, afferma nella propria nota: «La soluzione non può essere l’elezione diretta del premier addirittura accompagnato da un premio di maggioranza tanto da togliere ogni libertà al Parlamento cadendo così dalla padella nella brace. Non a caso nessuna democrazia al mondo adotta un meccanismo come quello proposto dal governo». Ad un certo punto del suo mandato presidenziale, Francesco Cossiga si trasformò da notaio in Picconatore quando, in un incontro drammatico al Quirinale, Ciriaco De Mita gli disse che era il caso di sloggiare perché il Pci lo considerava ormai ciclotomico. Una patologia che gli fu diagnosticata successivamente da Adriano Ossicini, psichiatra ed ex parlamentare di sinistra a cui l’allora premier Andreotti aveva chiesto di recarsi al Colle il più spesso possibile per tenere sotto controllo il bipolare Cossiga.
Effettivamente, il dottor Ossicini si convinse che le frequenti visite di esponenti del Pci contribuissero in qualche modo a destabilizzare il capo dello Stato, diffondendo così la fake news della sua pazzia. Questa volta da Mattarella non è andato nessuno, essendo il nostro presidente lucidissimo e molto attento ma, da custode assoluto dell’armonia costituzionale, sa perfettamente che il disegno di legge sul premierato rischia di stravolgere gli equilibri tra i poteri e di rendere troppo fragile la presidenza della Repubblica. Peraltro, sa fin troppo bene che almeno non dovrà dimettersi perché il problema certamente non riguarderà lui, ma il suo successore.
Tuttavia, sa altresì che, nonostante il suo ruolo, nulla può fare per bloccare la riforma sul premierato targata FdI e pure quella a proposta leghista sull’autonomia differenziata regionale. Ed allora, da vecchio democristiano e soprattutto da siciliano accorto, gioca di sponda, cominciando a tirare colpi di matterello al governo su altri terreni in cui ha campo libero: con il risultato, alla fine, di favorire – sulla scia dei disordini di piazza, da sempre cari alla sinistra – il campo largo a sinistra che in Abruzzo, fra una settimana, ha la sua prima prova del fuoco. L’alleanza tra Pd e 5S è una base sufficiente per battere Meloni e Salvini perché, nella logica di Mattarella, urge il recupero di Forza Italia, come vorrebbero la Cdu tedesca e la famiglia Berlusconi che, approvando il premierato, non vogliono diventare complici politici, a livello internazionale, dello spodestamento di Mattarella insieme alle destre.
Il desiderio recondito di Mattarella è di stoppare la riforma costituzionale già nella doppia lettura in Parlamento, così evitando di farla arrivare al referendum. Renzi docet. Se soprattutto le elezioni europee e le prossime elezioni regionali, in Basilicata ed in Abruzzo, dovessero rafforzare la base di Pd e 5S, il suo progetto oltreché fondato, sarebbe molto forte. In ogni caso la mattarellata sulla Polizia è stata commessa lucidamente, così come la successiva retromarcia con la telefonata al capo della Polizia Vittorio Pisani che, dopo anni di inerzia, sta ridando anima a questo fondamentale corpo dello Stato. Anche in politica estera Mattarella ha un’agenda diversa da Meloni, partendo dai rapporti con Parigi. La stessa scelta di Meloni nell’inviare nella capitale francese il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli è espressione di un dissenso radicale: che il «Patto del Quirinale» Italia-Francia vada a farsi benedire!
La Meloni è perfettamente consapevole di tutto ciò e, da politica navigata, risponde in due modi: in primis, con il silenzio; in secondo luogo, usando il linguaggio della «sicilitudine». Comunque sia, torna sempre buono il vecchio adagio di Cossiga durante una crisi di governo: «Il capo dello Stato resta, il premier va a casa». Fortunatamente, Giorgia su questo ha le idee chiare e saprà raddrizzare la sua nave in tempesta magari facendo sbarcare qualcuno della ciurma da Pichetto Fratin a Zangrillo, da Locatelli a Ciriani. Per tenere saldo il timone dalle mattarellate.
Luigi Bisignani per Il Tempo 3 marzo 2024
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