In fondo Zdenek Zeman è un enigma se non una contraddizione. Sempre con quell’aria di starsene fuori dal mondo, ma fa lo stesso di quelli drogati del mondo, delle sue lusinghe. Si è fatto anche l’autobiografia, affidata ad Andrea di Caro della Gazzetta e giustamente pubblicizzata da una intervista per l’appunto pubblicitaria, di quelle a soffietto, che non fa male leggere, come un gazzosino, domande poche per non dire nessuna, più che altro rilanci, sottolineature. Ma queste son cose da addetti ai lavori.
Zeman e il contrario di Zeman: grandissimo ma non ha vinto niente, fustigatore del sistema, grillo parlante odiato dai colleghi che gli dicevano, non proprio a sproposito: se tutto è così marcio, cosa ci resti a fare? Ma i soldi fanno comodo anche ad un boemo avvolto nel suo fumo esistenziale. Del Piero troppo muscoloso, ricordate? Certo, ma erano cose che diceva, che scriveva, con ben altra violenza, il povero Carlo Petrini che a forza di doping se n’era andato cieco e con un buco nella testa che potevi vederci il cervello. E le scriveva con 20 anni di anticipo. Zeman riusciva a rompere i coglioni anche ad Agnelli, il vecchio, che gli rinfacciava: tuo zio, Vycpálek, lo abbiamo salvato noi, lo abbiamo portato qui, e tu ci ripaghi così. Perché Zeman tormentava i Bettega, i Moggi, i Giraudo, con mille ragioni va detto. Simpatia Zeman, come motteggiava Antonio Albanese in Mai dire gol e rieccoci agli anni Novanta, i Van Basten, i Totò Schillaci “che ruba le gomme che ruba le gomme”, per dire un terrone incapace di crescere, di accettare la responsabilità umana dell’essere un campione. Con Zeman non era possibile, dovevi crescere per forza ma il prezzo da pagare non era per niente semplice. Simpatia? Doveva essere una tortura averci a che fare, anche se, dice lui, “romani e laziali mi vogliono ancora bene”.
È che i grilli parlanti possono avere tutte le ragioni che vogliono, ma sono di natura dei gran rompicoglioni, e nessuno è santo fino in fondo. Lui se vinceva era il Davide che faceva giustizia del Golia corrotto, il Sistema, se perdeva non era mai per sua colpa, era sempre il Golia, coi suoi arbitri pagati da Moggi, dall’alleanza mafiosa Milan-Juventus “da cui l’Inter era esclusa ma premeva per entrare”. Avevo un nonno che non veniva dalla Boemia romantica e oscura ma da Mantua del vate Virgilio, commerciava in maiali e la diceva uguale ma nel modo sbrigativo di un allevatore padano: “Quest’anno han fatto vincere la Juve, l’anno prossimo toccherà al Milan”. Bello, sereno, fatale, nessun intento polemico, la vita va così, che ti lamenti a fare.
Zeman, enigma avvolto in un mistero, dice che ha sempre tifato Juventus: lo scopriamo adesso, è il piccolo scoop di Cazzullo; l’altro non è uno scoop ma suona bene: “Ho sempre odiato il comunismo” e questo è perfettamente chiaro, non l’avversione intellettuale, ideologista ma quel miscuglio di rancore e orrore che solo chi l’ha sperimentato può avere. Con buona pace di chi ancora la mena che il comunismo era la salvezza delle genti, solo applicato male. Zeman odia il comunismo come lo odiava Wojtyla, il “suo” papa. Però tra gli amici importanti vanta D’Alema che comunista lo è fino al midollo e, a lasciarlo fare, diceva Montanelli, non avrebbe lasciato rimpiangere Berja.
Ma queste, forse, sono solo provocazioni, D’Alema il supercomunista ambiguo va bene all’ambiguo anticomunista Zeman “perché è tifoso della Roma”. Certo, le sue intemerate oggi conoscono un revival nelle inchieste sui maneggi bianconeri che rischiano seriamente di infilare in un cellulare tutti, eredi Agnelli, consiglio d’amministrazione al completo e pure Nedved, conterraneo e scoperta di Zdenek la cui doppiezza si può riassumere in questo passaggio: «Ho visto tutto. Ho fatto tanti ritiri in hotel a 5 stelle e altrettanti in alberghi Miramare dove la padrona era anche la cuoca. Sono stato assunto da presidenti in doppiopetto e da poveri diavoli di periferia con cravatte improbabili. Ho allenato campioni che guadagnavano miliardi e giovani a cui dovevo prestare i soldi per la benzina…».
Se ti fa tanto schifo il Sistema, perché non te ne vai? Io non sono il Sistema, io lo combatto da dentro e mi metto contro le banche, la finanza, le società che pesano. Tu non vinci mai niente, mandi all’arrembaggio ma risultati pochini. Mi hanno sempre fatto fuori perché ero scomodo. No, ti facevano fuori perché costavi e non rendevi, col bel gioco non si cantano messe.
E si può continuare all’infinito, fra denigratori e fanatici, teorici dell’entrismo e accusatori del grande accusatore. Io so solo che quando lo vedevo, a domanda non rispondere, bofonchiare mozziconi di frasi incomprensibili, la voce che pareva uscire da un altoparlante rotto, avvolto nella nuvola del fumo di sigarette e di contraddizioni, pensavo: ma questo qui non è normale, sembra un monaco tibetano. E mi sembrava più logico l’umano, troppo umano Mazzone che non finiva una partita senza accapigliarsi cogli ultrà in una tempesta di bestemmie. Er sor Magara, che ancor oggi guai chi lo tocca, specialmente ad Ascoli, feudo del commendator Costantino Rozzi, un altro che te lo raccomando.
Max Del Papa, 14 novembre 2022