Società

Oggi brindiamo alla faccia delle virostar rompipalle

pregliasco crisanti

Che sensazione di leggera follia/Sta rovinando la festa mia/Non ho neanche finito con la meringa e qualcuno/Stasera arriva qualcuno/Brandisce una siringa/La gioia la dura minga
Per due Natali siamo andati così. Con certi loschi figuri, promossi a virustar, che regolavano cenoni e raduni con fanatico impeto statalista: come mangiare, cosa mangiare, come vestire, come distanziare, aerare, augurare, aprite le finestre al nuovo gelo, e soprattutto bucatevi, bucatevi, bucatevi.

Il bucato di Natale. Il Pregliasco, che mi hai dato tu, più fa fiasco, e più ne vuol di più. Ci volevano sigillati in casa. Senza aprire ai non sierati. Senza parlarci e senza baci sotto il vischio, anche se ormai si è estinto prima dei ghiacciai. Senza regali, “che sono focolai” (pure queste bestialità ci toccò sentire). Senza mangiare vicini: un commensale, un tavolino, come all’osteria. Senza effusioni. Tra moglie e marito, non metterci un candito. Al posto del salmone, infilaci un tampone. Nella televisione, un bombardamento da ufficio facce (chi ricorda Beppe Viola ed Enzo Jannacci, sa di cosa parlo): da Burioni, da Galli, da Pregliasco, da Lopalco, da Capua, da Viola, da Abrignani, da Ricciardi, da Rezza e da…

E poi, di colpo, il vuoto o quasi. Diciamocelo: non siamo più abituati. Senza il virompicoglioni che ti annuncia disgrazie, ci sentiamo persi. Anche se i telegiornali insistono. Anche se le solite facce non cedono. Anche se la mascherina non è più la regina della tavola, e non ce la ritroviamo al posto del tovagliolo. Due Natali e tre Pasque così, e siamo diventati sudditi. Frigidi. Incapaci di tornare alla normalità di prima. Di tanta libertà natalizia, si fa per dire, non sappiamo che fare. Ce l’hanno fatta, e ce l’hanno fatta – è il caso di dirlo – sotto il naso, anzi sopra. Adesso dobbiamo ricominciare tutto da capo, a vivere, a festeggiare questo straccio di Natale che rimane e già ti azzannano: se non per il Covid, almeno per l’influenza, per la sifilide, per la rogna ma almeno un buco fattelo, vaccìnati, drògati. Che abbiamo un miliardo di dosi da smaltire ancora. Che non bastano i centenari e neanche i feti. Che se no il presidente quadridosato e quadrinfettato ci rimane male (vedrete che nel pistolotto di fine anno non rinuncerà alla solita propaganda…).

C’è già qualche coglione che esulta: io sono alla quinta! Restano i disperati in giro con la mascherina, alla cinese. Il Tg1, sempre in prima linea, è arrivato a criticare la Cina che allenta le restrizioni dittatoriali sotto le proteste di un miliardo e mezzo di schiavi, a conferma che il regime sanitario non muore, passa come una staffetta da sinistra a destra ma resta, al limite lo congelano ma è lì, pronto a tornar fuori alla prossima ragion politica spacciata per esigenza sociale. Siamo come i carcerati che escono dopo 40 anni, come i deportati in un certo modo: non sappiamo bene come muoverci, tutto ci pare diverso, nutriamo latenti sensi di colpa, e se poi tossisco e infetto il nonno? E se quel malessere potevo curarlo meglio, con una raffica di shot? Ci hanno instillato il senso del pericolo e il senso di colpa, la ragione dice una cosa ma l’istinto ormai tira altrove.

Anche in chiesa resistono i preti oltranzisti che negano il segno di pace fisico e l’acqua benedetta; il clero in questa temperie ha dato il peggio da ottant’anni, ha rinnegato Cristo peggio di Giuda, ha sposato i trenta sicli, o disaggi, come voleva il regime. Che sensazione di leggera follia: abbiamo vissuto, celebrato per anni, una guerra, come in un incubo, ridotti a zombie e adesso, che abbiamo conferma di come tutto fosse inutile, una parte di noi si rifiuta di crederci: ma allora mi avete preso per il culo tutta la vita, come esclamava Fantozzi, disperato. E già ci impongono di non dirci “buon Natale” ma buone feste, più inclusivo, ma non per il Bambinello. E i piddini ci guardano in cagnesco, ah, voi credete di cavarvela ma ritorneremo! E i viropolitici si vendono al migliore offerente, mendicano candidature, sempre a sinistra, ecco dove finiva “la scienza”, ecco per cosa hanno messo in scena l’orrore. Ma non gli importa, una faccia non ce l’hanno, per questo insistono a coprirsela con la mascherina.

Sono un po’ tutti come il sardina Mattia, passato con la disinvoltura di un lancio di frisbee dal “Pd partito tossico” alla tessera con tanto di maglietta indossata. Poi dice che questi sono contro il merito: ma per forza, il Santori aspira, oltre le canne, anche ad un posto di vice Elly. E questa, attenzione, non è la meglio gioventù (sui 38 anni) che vuol rilanciare il partito con le armi petalose della “inclusione”, sono carognette, piranha che sognano il potere per ripristinare il regime a trazione cinese. Se si pensa che per prima cosa la candidata Schlein ha arruolato Francesco Boccia, quello con gli occhialini gelidi, alla Gramsci. E cosa diceva Boccia? “Serve l’obbligo vaccinale, la terza dose è scontata, riapriremo solo dopo che tutti gli over 60 si saranno vaccinati, o si vaccina il 90% della popolazione minimo o li faremo vaccinare con la forza, i novax sono irresponsabili, i dubbiosi vanno rieducati, via con la quarta dose, massimo rigore o chiusura totale”.

Il funzionario del Politburo fu uno dei più feroci, di lui si ricorda l’agghiacciante uscita “Molti italiani non ci saranno più nel prossimo Natale”. E riparte da Schlein. E a destra non dicono niente. E la tanto pompata commissione d’inchiesta sui crimini&misfatti della strategia sanitaria si è persa nell’oblio e nessuno ne vuole più parlare. In compenso, parlano, come prima, con l’arroganza di sempre, i falliti che hanno sfigurato la scienza, le facce truci del terrore sono le stesse, e le loro voci sembrano ancora uscire dall’oltretomba, annunciano stragi, nemesi: l’Apocalisse.
Ecco perché non siamo tranquilli neanche quest’anno. Sappiamo che questa normalità è fragile come vetro, può rivelarsi un miraggio, una crudele presa in giro. Ancora temiamo di sentire un colpo che non è il tappo dello spumante che salta, ma un asettico bussarci alla porta.

Max Del Papa, 25 dicembre 2022

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