Bugie queste che si sono rivelate in tutta la loro falsità nel momento in cui Kimia, che sta partecipando alle olimpiadi a Tokio nella squadra dei rifugiati, una squadra che raccoglie tutti gli atleti che per motivi politici non possono far parte delle delegazioni delle loro nazioni di nascita e che per questo gareggiano sotto la bandiera del Comitato Olimpico Internazionale, ha affrontato e sconfitto la sua ex compagna di squadra Nahid Kiani e lo ha fatto senza indossare il velo sotto il caschetto di sicurezza.
Quel velo che per molti radical chic occidentali è diventato un vezzo della moda o il simbolo del rispetto per le tradizioni altrui, le stesse radical chic che non possono o non vogliono rendersi conto che invece si tratta di un simbolo di sottomissione che in troppe parti del mondo viene indossato non per scelta ma per obbligo.
Alla fine del torneo Kimia Alizadeh non ha raggiunto il podio, ma affrontando e sconfiggendo la sua ex compagna ha dimostrato fino a che punto possono arrivare le bugie di regime e quanto ancora c’è da lavorare per mettere la politica al di fuori dello sport. Kimia Alizadeh che per vivere con i suoi capelli al vento è costretta all’esilio è, per chi ancora crede nella libertà, il vero simbolo di queste Olimpiadi.
Michael Sfaradi, 28 luglio 2021