Giuliano Garavini, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università Roma Tre, sul Fatto Quotidiano ci descrive il nostro futuro, in cui dominerà incontrastato il sol dell’avvenire del terzo millennio: il socialismo ecologista. Il suo è un classico approccio dogmatico, così come dimostra il suo approccio iniziale: “La crisi climatica che stiamo sperimentando in questa estate infuocata può essere così semplificata. Le emissioni di CO2 sono la causa principale del riscaldamento atmosferico. Le fonti energetiche fossili sono la principale causa dell’aumento delle emissioni di CO2. L’utilizzo di fonti fossili per la generazione elettrica è la principale voce delle emissioni di CO2. Dunque: ‘decarbonizzare’ il settore della generazione elettrica è il cuore della sfida ecologica. Inoltre, per ridurre le emissioni delle utenze domestiche, dell’industria e dei trasporti, gli altri settori più inquinanti, bisogna elettrificare ulteriormente il sistema.”
Pertanto, come possiamo osservare, a parte un uso direi disinvolto dei due punti, egli parte da una successione di nessi causali espressi in modo apodittico e, per questo, assunti come mere verità rivelate. Dopodiché il nostro entra nei dettagli, prendendo spunto da due libri – il primo del geografo economico Brett Christophers e il secondo dello storico francese Jean Baptiste Fressoz – i quali a suo dire ci indicherebbero chiaramente la strada da intraprendere per evitare che il mondo finisca in una graticola.
Ed è qui che Garavini introduce il paradigma di un socialismo ecologista. A suo avviso, infatti, i “due libri presi assieme suggeriscono due delle principali soluzioni per una transizione vera (e cioè sostitutiva delle fossili) verso le rinnovabili. La prima è riportare il settore elettrico al suo assetto di servizio pubblico (quello previsto dalla nostra Costituzione e prevalente in Europa prima delle privatizzazioni), un servizio – precisa -che va erogato in modo efficiente, pulito ed economico a cittadini ed imprese, indipendentemente dalla sua redditività e in base ai reali bisogni.”
“La seconda soluzione – prosegue il suo delirio collettivista – per una transizione vera è che all’ideologia del Pil se ne sostituisca una basata sul soddisfacimento dei bisogni, sulla sobrietà e la riduzione dei consumi, sulla pianificazione ecologica: in sostanza un’ideologia della post-crescita, in cui il mondo più industrializzato riduca progressivamente alcuni consumi in favore del mondo meno industrializzato, pur assicurando ai cittadini il soddisfacimento dei loro bisogni primari.” Tutto questo, ovviamente, basato sui due pilastri che secondo molti veri liberali ci farebbero sprofondare assai rapidamente nel sottosviluppo, alias decrescita infelice: “ripubblicizzazione del settore energetico e post-crescita”.
In sostanza, Garavini, emulando alla lontana Vladimir Il’ič Ul’janov, conosciuto come Lenin, propone di dare tutto il potere ai soviet dell’ambientalismo, trasformando le società avanzate in un modello di sobrietà caratterizzato dal ripristino dei mezzi di trasporto a pedali e/o trainati da cavalli per i ceti più abbienti, garantendo a tutti i cittadini una cospicua dotazione di candele per l’illuminazione delle proprie case e di legna da ardere per il relativo confort nei mesi invernali.
Il motto di questo “illuminante” pensiero è “consumare sempre meno per vivere meglio e salvare il pianeta”. La cosa sconvolgente è che pare siano ancora in tanti, troppi a bersi tutte d’un fiato tali tossiche pozioni ideologiche.
Claudio Romiti, 21 agosto 2024
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