In teoria, proprio la guerra dovrebbe aver impresso una battuta d’arresto al maxi programma ecologico voluto dall’Europa: lo stesso Mario Draghi ha riconosciuto che sarà necessario ripristinare certe centrali a carbone e anche il nucleare è tornato prepotentemente sul tavolo. Il punto è che, se l’eccezione diventa la regola, alla gente si può imporre di pagare quasi qualunque prezzo, inclusa una pesante austerità, innescata dalla sostanziale incapacità di sostituire, nel breve termine, le fonti di approvvigionamento energetico oggi garantite dalla Russia.
Insomma, sul breve periodo bisognerà patire una sorta di lockdown energetico; sul lungo periodo – e con costi altissimi – si realizzerà finalmente la transizione green. In effetti Giovannini, ieri, ha chiesto “il contributo di tutti, anche delle imprese e dei cittadini”. È il vecchio trucchetto alla John F. Kennedy: non chiedere cosa lo Stato può fare per te, ma chiediti cosa tu puoi fare per lo Stato. Alle vette distopiche che abbiamo raggiunto oggi, ciò non può che indicare un avvenire di sacrifici spacciati come inevitabili, ineludibili, giustificati in quanto rappresentano il “prezzo da pagare per la libertà di tutti”, o per la sopravvivenza del genere umano, minacciato dalla “catastrofe climatica”. Da questo punto di vista, tagliare i ponti con l’energia “sporca” dei russi e farlo molto più in fretta del previsto, è utile a rendere esplicita la natura del piano verde, per come lo avevano concepito i suoi ideatori: non una transizione, bensì una rivoluzione. Mala tempora currunt.