Ormai lo sport è professionismo di Stato. In stile Urss

Il caso di Andy Diaz ma non solo. Lo spirito sportivo è degenerato: cosa non si fa per racimolare una medaglia alle Olimpiadi

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Andy Diaz

Visto l’interesse che ha suscitato la questione del triplista Andy Diaz, certamente un’ottima persona, al pari di tanti altri richiedenti asilo che tuttavia non godono della sua corsia preferenziale per ottenere un posto al sole italico, riterrei interessante allargare il discorso al tema poco dibattuto dei cosiddetti carrozzoni sportivi finanziati con i quattrini del contribuente.

Codesti carrozzoni (espressione che darà adito a qualche troll di focalizzare il dito anziché ciò che esso indica) sono da tempo al centro di un dibattito tra i sostenitori di una sorta di professionismo di Stato e coloro i quali, eredi di quella antica tradizione amatoriale e dilettantistica, ne criticano gli aspetti più deteriori. Aspetti che, come nel caso del triplista naturalizzato in fretta e furia, rappresentano una degenerazione dello spirito sportivo più nobile, trasformando gli sport minori, ovvero la stragrande maggioranza delle discipline olimpiche, in un fatto essenzialmente fondato su un continuo ricorso ai finanziamenti pubblici, più o meno diretti.

Tant’è che, a parte il crescente manipolo degli stessi atleti naturalizzati, è oramai difficile individuare nella nostra compagine olimpica un atleta che non appartenga ad un corpo militare o ad una qualche polizia. Da lungo tempo in questi settori dello Stato si è scatenata una spietata concorrenza per accaparrarsi gli specialisti più competitivi, depauperando di fatto il patrimonio umano su cui potevano contare le antiche, gloriose società sportive le quali, in passato, hanno tenuto alto il vessillo dello sport italiano.

E non si tratta solo di sostenere economicamente i singoli campioni. In realtà gli enormi gruppi sportivi dei Carabinieri, dei Finanzieri, dei Poliziotti, dell’Esercito, della Marina e dell’Aviazione militare, eccetera eccetera, dispongono di strutture adeguate, di tecnici e di un vasto personale pagato solo per supportare l’impegno dei vari atleti.

Tutto questo, ovviamente, rappresenta un enorme dispiego di risorse umane ed economiche il cui unico obiettivo finale è quello di racimolare una medaglia nelle competizioni europee, mondiali ed olimpioniche. In questo senso, il nostro simpatico Diaz, che dal suo legittimo punto di vista ha colto al volo un’ottima occasione per sistemarsi, non ha fatto altro che andarsi ad intruppare in uno dei tanti carrozzoni sportivi, in questa caso quello delle Fiamme Gialle, che caratterizzano in modo particolare il nostro Paese.

Proprio in tema di risorse umane, se vogliamo dirla tutta, sul piano sistemico generale, in cui l’economia rappresenta il sostegno fondamentale anche per l’attività sportiva, dare la cittadinanza ad un operaio qualificato, o in subordine ad coltivatore disposto a prendere in comodato d’uso un terreno incolto, restituendolo alla produttività, mi sembrerebbe un investimento umano assai più sensato rispetto a quello di far diventare italiano un qualsiasi campione sportivo. Nel primo caso il valore aggiunto si misura in quattrini reali, nel secondo in medaglie, coppe a gagliardetti. In pratica trattasi di un mero investimento a perdere.

D’altro canto, ai tempi che furono, il medagliere era sempre dominato da Unione Sovietica, DDR e i vari satelliti dell’impero d’oltre cortina. Un paradiso sportivo i cui la gente comune se non moriva di fame poco di mancava.

Claudio Romiti, 13 agosto 2024

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