Black lives smatter. Proprio una bella spolverata, gli ha dato Will Smith all’intrattenitore Chris Rock, e tutto per una faccenda in fin dei conti banale. Ma si sa come sono queste star, sempre molto sensibili, attente ai mali del mondo ma poi ci mettono un attimo ad esaltarsi, a finire sopra le righe. Di cosa, meglio non dire. È andata così, che alla cerimonia degli Oscar, a Los Angeles, il non troppo bravo presentatore Rock non trova di meglio che sparare una battuta sulla moglie di Will, Jade Pinkett, invitata a girare il seguito di Soldato Jane. Che nel film è rasata a zero, ovviamente: come la Pinkett, la quale tuttavia soffre di alopecia: tanto è bastato perché il marito, in modalità Muhammad Ali, piombasse sul palco mollando un manrovescio all’esterrefatto Chris, che, per sovrappiù, si è sentito ringhiare dall’attore, subito tornato a sedersi a fianco alla consorte: “Che il nome di mia moglie non esca più dalla tua fottuta bocca!”. Il Dolby Theatre basito. Ghiacciato. Nicole Kidman a bocca spalancata, del genere “one size fits all”. Poi il monologo del Rock è proseguito, la cerimonia pure e a Will Smith gli hanno ammollato pure un Oscar.
E qui, se possiamo dirlo, fuori da gesuitiche formule, ci girano un po’ i coglioni. Perché l’America sensibile ci impone linguaggi, comportamenti, liturgie del politicamente corretto usque ad dementiam, però poi è la prima a tradirli. Perché quello che va bene per il mondo, per loro va bene fino a quando. Le due stelle colorate si sono comportate, se ne siano accorte o meno, come due che pensano: sì, va bene, il politically correct, la woke, la cancel culture, il BLM; tutte stronzate, appena mi toccano nel vivo, appena escono dai canoni, torna fuori il senso dell’onore, la gang culture, la voglia di machismo.
Intendiamoci, qui nessuno si sente di far la morale a Will Smith perché ha difeso la moglie, al contrario alzi la mano chi non si sarebbe grossomodo comportato così; il punto è un altro, è che, se vale per loro, perché non dovrebbe valere pure per noi comuni mortali? Perché se una superstar di Hollywood perde le staffe come un bullo da strada gli danno un Oscar, e se capita a qualsiasi povero cristo viene denunciato, sommerso di fango, dannato nella memoria? E se fosse stato un viso pallido a reagire così contro un abbronzato? Apritevi tutti i cieli, a quest’ora non si parlerebbe d’altra e qualsiasi guerra o pandemia sarebbe uscita a calci dall’agenda globale.
Allora? Che dobbiamo fare? Il conduttore ha fatto una battuta (scarsa, squallida, telefonata) e l’attore ha reagito da marito italico, ma senza un minimo di eleganza, di ironia, come uno che non ha le parole in bocca per rispondere a tono: possiamo liquidare tutto come una delle solite bizzarrie dell’iperuranio cinematografico oppure possiamo scendere un po’ più in profondità e preoccuparci. Perché l’America dei veti e degli obblighi, dell’esportazione di cultura strampalata, del processo alla storia e alle statue, l’America patinata e stupida che non sa più chiamare uomo un uomo e donna una donna, che premia come femmina dell’anno e nuotatrice dell’anno due maschi, in realtà patisce una recrudescenza degli istinti primitivi, una violenza di ritorno carsica, come di rigetto per l’eccesso di ipocrisia: dai suoi presidenti, da Trump a Biden, alle sue celebrità, basta poco per sclerare. Però con l’aria di dire: beh, noi possiamo.
Invece appena è un qualsiasi altro abitante del pianeta a riscoprirsi umano, troppo umano, alzano il ditino e sparano la morale. Una morale insostenibile, visionaria, imbecille. E ipocrita, troppo ipocrita. Eh no, cari, prima dovete curarvi voi e il vostro Black Lives Slapper. E lasciateci anche un po’ vivere, che da due anni abbiamo i giorni tutti uguali e la colpa certo è nostra, che non sappiamo resistere a un greenpass e critichiamo gli ucraini che resistono ai carrarmati, ma forse un po’ di responsabilità, magari indiretta, magari riflessa, ce l’avete pure voialtri, o no?
Max Del Papa, 28 marzo 2022