È, appunto, molto difficile stabilire ora se queste condizioni di pace siano a portata di mano, o siano solo un espediente per prendere tempo. Le operazioni sul campo continuano come se la proposta non esistesse. Al Congresso degli Stati Uniti, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha tenuto un discorso (in videoconferenza) per cercare di sensibilizzare la politica americana alla causa del suo Paese. Ha mostrato le immagini dei bombardamenti e ha detto loro che è come una Pearl Harbor o un 11 settembre ripetuto tutti i giorni, per tre settimane. Gli americani, commossi, non hanno però intenzione di fare di più di quel che già fanno ora: sanzioni economiche contro la Russia e invio di armi leggere.
La paura di far scoppiare un conflitto generale in Europa è troppo forte per rispondere alla richiesta di Zelensky di istituire una “no fly zone” sui cieli dell’Ucraina. Non c’è la possibilità legale per rispondere: un’operazione di interdizione dello spazio aereo, come abbiamo visto in Libia nel 2011, per non essere considerata come un atto di guerra dovrebbe almeno essere autorizzata dall’Onu, dove il Cremlino esercita diritto di veto. Il discorso di Zelensky, forse, motiverà gli Usa, in un prossimo futuro, a farsi garanti dell’indipendenza ucraina, se veramente si giungesse ad un armistizio. E sperando che, questa volta, non faccia la fine del Memorandum di Budapest del 1994.
Stefano Magni, 16 marzo 2022