Pace tra Russia e Ucraina? Spunta l’accordo in 15 punti

Si negozia sotto le bombe. Mosca pone le condizioni, Kiev chiede garanzie: cosa prevede la bozza

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E se i negoziati fra Russia e Ucraina andassero a buon fine? Il “se” è ancora grande come una casa, perché, da Mosca, Vladimir Putin ha fatto presente come la sua intenzione sia quella di andare avanti fino alla vittoria. Ma, secondo una fonte governativa ucraina del Financial Times, ci sarebbe già un articolato di 15 punti che potrebbe essere la base di un armistizio. I termini sono, in estrema sintesi: neutralità internazionale dell’Ucraina e ritiro delle truppe russe entro le linee del 23 febbraio (Donbass e Crimea). Sul resto è ancora tutto da vedere.

Rendere l’Ucraina neutrale

Partiamo dunque dagli argomenti più solidi: la neutralità dell’Ucraina farebbe venir meno il casus belli dichiarato da Putin nel suo discorso pre-invasione. Per mettere nero su bianco la promessa di neutralità, l’Ucraina dovrebbe annullare la riforma costituzionale voluta dall’ex presidente Poroshenko e votata nel 2017, poi inserita in Costituzione nel 2019, in base alla quale il Paese aspirava ad accedere alla Nato, oltre che all’Ue. Il percorso dell’Ucraina verso l’Unione Europea, dunque, non verrebbe più ostacolato, mentre finirebbe sul nascere quello verso la Nato. La Russia imporrebbe così a Kiev una neutralità internazionale, “sul modello austriaco o svedese”. Questo status di neutralità richiede anche che sia vietata la presenza di basi militari straniere sul territorio. Cosa che non richiederebbe un grande sforzo, dato che la legge ucraina già lo vieta.

Il mancato memorandum del 1994

Gli ucraini sono memori di un accordo simile. Anche nel 1994, infatti, avevano accettato il Memorandum di Budapest: consegnare alla Russia l’arsenale atomico ereditato dall’Urss (fino a quell’anno, l’Ucraina era la terza potenza nucleare del mondo) in cambio di una promessa di rispetto dell’indipendenza sui confini attuali. Usa e Regno Unito erano garanti di questo impegno. Come è noto, la Russia ha violato gli accordi presi a Budapest con l’annessione della Crimea nel 2014 e poi con il riconoscimento dell’indipendenza delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk il mese scorso. E nessuno dei garanti si è mosso per proteggere l’Ucraina. In questo caso, la Russia chiede all’Ucraina di diventare neutrale in cambio della promessa di rispetto dell’indipendenza, su confini già ridotti. Kiev tenderà quindi a cercare garanzie un po’ più vincolanti, di potenze straniere. Queste ultime sono indicate in tre nazioni della Nato: Turchia, Regno Unito e Stati Uniti. La Turchia per il suo ruolo di mediatrice, gli altri due in quanto potenze nucleari che si sono impegnate di più nel conflitto.

Il ritiro russo, chiesto come precondizione dagli ucraini prima di accettare qualsiasi nuovo assetto, dovrebbe avvenire da tutti i territori occupati dal 24 febbraio. Ma non, appunto, dalla Crimea e dal Donbass. La Crimea è occupata da otto anni e Mosca la riconosce ormai come parte della Federazione Russa dal 2015. Il Donbass, con le repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk, è di fatto separato ed è occupato da truppe regolari russe dal 22 febbraio. Mosca chiede che l’Ucraina, come condizione di pace, riconosca formalmente l’indipendenza delle due repubbliche e l’annessione della Crimea. Su questo Kiev non intende cedere, perché sarebbe come accettare una mutilazione del proprio territorio dopo un atto di forza del nemico. Ma non chiude neppure la porta: l’indipendenza delle prime e l’annessione della seconda saranno oggetto di una trattativa separata.

È, appunto, molto difficile stabilire ora se queste condizioni di pace siano a portata di mano, o siano solo un espediente per prendere tempo. Le operazioni sul campo continuano come se la proposta non esistesse. Al Congresso degli Stati Uniti, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha tenuto un discorso (in videoconferenza) per cercare di sensibilizzare la politica americana alla causa del suo Paese. Ha mostrato le immagini dei bombardamenti e ha detto loro che è come una Pearl Harbor o un 11 settembre ripetuto tutti i giorni, per tre settimane. Gli americani, commossi, non hanno però intenzione di fare di più di quel che già fanno ora: sanzioni economiche contro la Russia e invio di armi leggere.

La paura di far scoppiare un conflitto generale in Europa è troppo forte per rispondere alla richiesta di Zelensky di istituire una “no fly zone” sui cieli dell’Ucraina. Non c’è la possibilità legale per rispondere: un’operazione di interdizione dello spazio aereo, come abbiamo visto in Libia nel 2011, per non essere considerata come un atto di guerra dovrebbe almeno essere autorizzata dall’Onu, dove il Cremlino esercita diritto di veto. Il discorso di Zelensky, forse, motiverà gli Usa, in un prossimo futuro, a farsi garanti dell’indipendenza ucraina, se veramente si giungesse ad un armistizio. E sperando che, questa volta, non faccia la fine del Memorandum di Budapest del 1994.

Stefano Magni, 16 marzo 2022

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