Dialogo e sangue freddo, no al catastrofismo. I dazi di Donald Trump erano attesi, una mossa folle sia chiaro, eppure per qualcuno sembra la fine del mondo. Il governo italiano è al lavoro per prediligere la via diplomatica all’inutile guerra delle tariffe, ma la vera domanda è un’altra: cosa pensano davvero gli imprenditori? Ebbene, la situazione è molto diversa da quella descritta in maniera gonfia e affettata dai soliti noti.
L’impresa italiana scaccia l’isteria e bada al sodo. I dazi al 20 per cento fissati dalla Casa Bianca non vanno sottovalutati in alcun modo, basti pensare al crollo delle borse. Ma le risposte muscolari potrebbero avere ripercussioni controproducenti da ogni punto di vista, con reazioni a catena imprevedibili se non irreversibili. La preoccupazione per le esportazioni c’è e non potrebbe essere diversamente, ma l’indicazione degli addetti ai lavori è chiara e cristallina: agire con cautela.
Come riportato da La Verità, oggi The European House – Ambrosetti dovrebbe presentare un documento molto chiaro sul tema: “Le analisi di Teha sull’impatto della politica tariffaria statunitense sull’Ue e sull’Italia, evidenziano impatti mediamente contenuti e gestibili per il sistema Paese, pur mantenendo la consapevolezza che alcune aziende e singoli settori potrebbero essere pesantemente colpiti” le parole dell’amministratore delegato Valerio De Molli. Lorenzo Delladio, numero uno di Confindustria Trento, ha rimarcato che i controdazi rappresentano solo l’ultima spiaggia: “Prima bisogna tentare un negoziato per far ragionare l’amministrazione americana e trovare un accordo che consenta loro di riequilibrare la bilancia commerciale senza ricorrere alle tariffe doganali. In questa fase l’Ue deve reagire compatta”.
“No a ritorsioni, i dazi al 20% mi fanno dire che con Trump si può trattare” è l’analisi del presidente di Confindustria Veneto Raffaele Boscaini. Sulla stessa lunghezza d’onda Martin Figel, presidente della Coldiretti del Friuli-Venezia Giulia, per il quale la via diplomatica sarà fondamentale “per trovare soluzioni in grado di mitigare l’impatto dei dazi”. “Una guerra combattuta a suon di dazi fa male a tutti, perché porta a un aumento dei prezzi per imprese e cittadini di tutti i Paesi coinvolti, nessuno escluso” il punto di vista del presidente di Federmeccanica Federico Visentin: “Lo scenario che si sta delineando è preoccupante anche per la recrudescenza di tensione e conflitto che si porta dietro. Per questo spero che l’Ue rifletta bene rispetto a una controffensiva che si ponga sullo stesso livello”.
La qualità del Made in Italy non verrà disintegrata dei dazi: questa un’altra indicazione emersa dal mondo dell’impresa. Emblematico l’intervento di Giancarlo Aneri, fondatore e presidente dell’omonima cantina, ai microfoni di Libero: “Calmi: nel mondo la nostra qualità non ce l’ha nessuno. Trump lo sa, è un imprenditore. Sono convinto che entro sei mesi i dazi sul vino verranno dimezzati, scenderanno al 10 per cento”. La preoccupazione è legittima, ha evidenziato Aneri, ma la situazione si assesterà: “Ci accorgeremo che la gran parte del lavoro che facevamo fino a ieri continueremo a farla anche domani. A costi maggiori? Guardi, io sono un artigiano, e tra i bravi artigiani vale la regola che conta più il posizionamento che avere i container che girano a tempo pieno”.
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Attenzione alla Cina, l’altro monito degli imprenditori. Per il presidente di Federacciai Antonio Gozzi serve un patto con gli Usa e “il vero nemico” è Pechino, e non è l’unico a pensarla così. Intervistata dal Gazzettino, la presidente di Confindustria Veneto Est Paola Carron ha subito messo in chiaro che “non possiamo permetterci uno scontro commerciale o reazioni scomposte, perché i dazi penalizzano tutti, compresi gli Stati Uniti”. E la Cina “potrebbe rafforzare le sue posizioni”: “Le imprese stanno già diversificando i mercati ma dobbiamo lavorare anche al nostro interno, eliminando ogni barriera impropria per poter essere più competitivi. L’inefficienza è un ostacolo tanto quanto i dazi imposti dall’esterno. Servono politiche commerciali forti e una visione che non sia solo difensiva ma proattiva”.
“L’Europa si svegli e si protegga. Tutti sono preoccupati di cosa fare di fronte ai dazi, ma il problema vero non sarà quanto meno esporteremo in America, ma cosa ci arriverà addosso dall’Asia” ha rincarato la dose l’imprenditore Massimo Pavin ai microfoni del Corriere. “Il dazio verso l’Asia può essere un riparo temporaneo per evitare nell’immediato che chiudano le fabbriche” ha aggiunto il leader del gruppo Sirmax: “Ma poi il punto è che se vogliamo che in Europa la produzone sia fatta secondo certe regole, queste devono valere per tutti, anche per chi introduce in Europa i suoi prodotti. Mi rendo conto che i controlli non sono facili. Ma faccio un esempio per capire: se non posso usare la plastica russa, non può arrivare qui un’auto dalla Turchia che lo fa con costi inferiori del 30%. È chiaro chi vince la battaglia. Ma non abbiamo combattuto ad armi pari”.
Franco Lodige, 5 aprile 2025
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