Paolo Di Donato, chi era costui? Il re dei migranti. L’uomo in Ferrari. Il negriero di Stato. Un anno fa veniva arrestato. Gli immigrati dei centri di accoglienza trasferiti nottetempo. Centocinquanta tra uomini e donne perdevano il posto di lavoro. La prefettura di Benevento – la stessa che nei momenti dell’emergenza migranti si rivolgeva proprio al “re dei migranti” affinché risolvesse il problema – chiudeva i sedici centri di accoglienza. E’ passato un anno. La situazione degli immigrati che vanno e che vengono non è cambiata granché. Siamo sempre in mezzo al Mediterraneo dietro a una nave che non sappiamo se accogliere o respingere. Una sola cosa è certa: Paolo Di Donato ha pagato per tutti.
Un anno dopo la Cassazione ha per ben due volte annullato l’arresto e spiegato che non vi erano i presupposti per la custodia cautelare e per alcun altro tipo di “cautela”. Gli unici che avrebbero dovuto essere cauti nei riguardi di Paolo Di Donato erano i giudici e la prefettura. Si doveva solo indagare e creare i presupposti per un eventuale giusto processo. Invece, viviamo in un paese in cui si distrugge in cinque minuti quanto è stato costruito in tanti anni con sacrificio e impegno. Ad oggi il re dei migranti non è nemmeno stato rinviato a giudizio mentre la sua attività, qualunque sia l’opinione in merito di ognuno di noi qui davvero non conta nulla, è stata completamente smantellata in modo arbitrario. Qui la questione immigrati non c’entra nulla. Qui c’entra la fondamentale questione delle garanzie dell’individuo e della proprietà. Purtroppo, viviamo in un Paese in cui al posto delle garanzie c’è l’arbitrio. Quanto accaduto a Paolo Di Donato – che lavorava non da un anno ma da venti anni nel settore dell’accoglienza e dell’assistenza con lo Stato e le sue strutture sanitarie – potrebbe accadere a ognuno di noi: in nome di una giustizia ingiusta possiamo perdere libertà personale e lavoro per poi essere riscattati moralmente tempo dopo, quando è ormai troppo tardi.
Quando il re dei migranti venne arrestato fu fatto con grande clamore e si organizzò addirittura una conferenza stampa. In quell’occasione la procura di Benevento parlò di Paolo Di Donato come di una sorta di “dominus”, una specie di “Grande Burattinaio” che muoveva i fili dei burattini degli stessi uomini dello Stato. In fondo, la mostruosità era già stata creata molto bene e, in concomitanza con la nascita del grande governo del cambiamento, scattavano gli arresti, i sequestri, le chiusure, i trasferimenti, i fallimenti. Ma se si passa dalla fantasia alla realtà, dallo storytelling alla cronaca, e si è almeno un po’ onesti si vedrà che Paolo Di Donato nel sistema dell’accoglienza era l’ultima ruota del carro che si limitava a risolvere in concreto ciò che lo stesso governo/Stato o creava o non sapeva risolvere. Il re dei migranti non era un burattinaio ma un burattino nelle mani del governo/Stato: è stato usato fino a quando tornava utile usarlo, poi, quando l’aria che tira è cambiata, è stato gettato via come uno straccio. In quel momento, proprio quando avrebbe dovuto tutelarlo garantendogli libertà e proprietà, lo Stato ha rivelato il suo vero volto di padre-padrone, di giustiziere, insomma, di “dominus” e lo ha liquidato.
Voglio essere chiaro fino in fondo e onesto con il lettore: conosco Paolo Di Donato da quando eravamo ragazzini. Era giovane, i migranti non c’erano e Paolo aveva già una Porsche e una Ferrari. Gli piacevano le belle automobili e pur di averle le affittava. I lavori che ha fatto e si è persino inventato sono stati sempre il frutto della sua intelligenza e della sua intraprendenza. Ha commesso degli errori? Perché, voi conoscete qualcuno che non sbaglia mai? Forse, sì, chi non fa mai un cazzo e blatera da mane a sera. E’ questo il ritratto dell’Italia che trasforma in colpe e persino in reati inesistenti i meriti e le capacità. Poi ci meravigliamo se andiamo a fondo.
Giancristiano Desiderio, 29 giugno 2019