Papa Francesco mejo de Vannacci: la “frociaggine” de profundis del gay pride

Il pontefice fa impazzire i progressisti: il generale Bergoglio sui gay distrugge anni di elogi della sinistra politically correct

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Papa Vannacci e il general Bergoglio: nell’apparente confusione dei ruoli sul gender clericale, sta il cortocircuito della sinistra che non sa più a che santo votarsi. Difatti il parà leghista in lancio su Bruxelles non ha perso un attimo: io che dicevo? Adesso che vogliono dirmi? E va già bene che, nella consueta modestia, nell’understatement che abbiamo imparato a riconoscergli, il grafomane Vannacci non dica: sono io il vero santopadre.

La faccenda è già epocale, suppurata dalle stanze vaticane, tramortite dall’ennesima uscita, è il caso di dirlo, papale papale sulla “frociaggine che è già fin troppa” e il bisogno di “ripulire i seminari da tutte quelle checche”. Vaste programme, santità, si potrebbe eccepire, anche in una prospettiva storica: quello dell’omosessualità nella Chiesa è problema che non è problema, è struttura, è consustanziale, ed è ampiamente acquisito così come acquisito è che i seminari sono allevamenti in questo senso. Situazione scabrosa per modo di dire, che ogni tanto qualche pontefice si decide a prendere per le corna, l’ultimo fu Benedetto XVI, venendone lapidato, insinuato sui suoi rapporti con l’assistente padre George. Non c’è comunque pontefice ignaro che la sua intemerata, ora felpata, ora da peggiori bar di Buenos Aires, cadrà regolarmente nel vuoto. Perché la “frociaggine” in Vaticano, nei seminari, nel clero è come la prevalenza arabo-africana a Milano, Italia: statisticamente inarginabile, incontrollabile.

Certo, Francesco non verrà azzannato come Ratzinger: già, le testate della sinistra organica e genderista, Ansa, Corriere, Repubblica fanno largo uso di vasellina, è il caso di dirlo, per addolcire la furibonda penetrazione bergogliana, si sperticano nell’antico esercizio del manzoniano troncare, sopire, cercano di salvare i cavoli del pampero progressista e comunista con la capra del papa tradizionalista e all’occorrenza duro, truce, dal machismo latino.

Ma quella di Bergoglio, per l’appunto, è una confusione solo apparente. Al di là delle proprie idiosincrasie personali, di un frasario che lo contraddistingue, Francesco non ha detto niente di speciale, né di traumatico e neppure di incoerente, almeno in questo caso. San Pietro oggi è in mano a un gesuita ma da sempre si regge sull’ambiguità gesuitica, “nisi caste, caute”, che sarebbe peccate pure ma con discrezione e poi venitecelo a dire. Insomma la cosa resti tra le mura, poi ce la risciacquiamo tra di noi.

La castità dei santi non è per i preti, quasi mai, la compressione dei sensi genera derive sensuali, vero che un ministro di Dio non può essere ricattabile per questioni di famiglia, di legami, ma lo diventa poi per situazioni più scabrose, più inconfessabili. La pederastia nella Chiesa, nei seminari! E dove sarebbe la novità? Però attenzione: se Repubblica e Corriere si superano quanto a gesuitismo da strapazzo, la realtà sembra essere più semplice e più immediata; Bergoglio non ha bisogno di ulteriori esegeti e da questi parti non è certo la tazza di te, non è il personaggio dell’anno, non lo è mai stato. Ma pane al pane! E onestà prima di tutto.

Bergoglio ha difeso spesso gli omosessuali in quanto tali, non vuole escluderli dalla ecclesia, “chi sono io per giudicarli”, apre a timidi riconoscimenti di amore casto (sapendola essere pietosa bugia), il suo machismo argentino collide a volte in modo schizoide con la comprensione pontificale; ma quello che davvero sembra irritare questo papa così umorale, a volte sconsiderato, certo non una cima di teologo, è, sembrerebbe di capire, il modus. Bergoglio, in camera caritatis, non parla di omosessuali, di persone: parla, con fastidio ostentato, di frociaggine, di checcaggine; quanto a dire l’attitudine caricata, eccessiva, fastidiosa di certo modo di porsi oggi da certo mondo gay, quello dei gay pride come carnevalate, quello delle pretese leggi liberticide in nome del vittimismo strategico, delle lobby ci sono e come e comandano, impongono la loro agenda nel mondo clericale come in quello secolare.

“Nisi caste, caute”: Bergoglio, anche nella conversazione da bar, non tradisce la sua anima di gesuita: siate anche quello che siete, che sentite di essere, ma se lo tradite in un modo così osceno, qui non potete avere posto. Questo sembra il significato di un papa del quale tutto si potrà dire, ma non che sia una verginella: lui, come i predecessori, sa benissimo che la (omo)sessualità nella Chiesa non la sradichi, sarebbe distruggere la Chiesa; sa che perfino la battaglia sulla pedofilia è regolarmente persa, anche se non ci si stanca di denunciarla; sa anche, d’altra parte, che il genderismo woke di importazione americana e diffusione europea, unionista, è giunto ad un punto di non tollerabilità perfino per il clero che se lo porta in pancia e che non può, tramite i seminari, rischiare di ritrovarselo perfino esteticamente istituzionalizzato.

Certo, a voler essere maliziosi si potrebbe chiedere a Bergoglio che ne pensi, allora, di certi preti marinaretti da ong da lui, dai suoi vescovi così appassionatamente protetti, foraggiati: ma via, non sono cose da chiedere a un papa, ti risponderebbe ridendoti in faccia, facendoti notare che sono tue illazioni e comunque una rondine non fa primavera mai, in nessun modo, in nessun senso.

Nisi caste, caute e noi, noi santo pare abbiamo sempre ragione, parliamo sempre ex cathedra anche quando la cathedra non c’è. Fermo restando che neppure un papa può arrendersi al dilagare di certi modi di essere, particolarmente nella Chiesa, la questione sembra estetica, investe il modo di palesarsi della comunità arcobaleno, sempre più eccessivo in quel minestrone genderfluid di smidollata cattiveria woke, che può piacere e non piacere, che piace ormai solo all’onorevole Zan e alla Schlein che lo candida, ma che al resto dell’umanità ha rotto le palle, laiche o ecclesiastiche che siano. Que quilombo! Ma Bergoglio non ha detto niente di speciale, anche se lo ha detto al suo modo; ha semplicemente sancito l’ennesima rottamazione di un feticcio politically correct. I tempi cambiano sempre, il vento si consuma sempre e come sempre la Chiesa è la prima a fiutare la corrente che gira.

Max Del Papa, 28 maggio 2024

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