Ilaria Salis andrà ai domiciliari, questa è l’unica certezza: lo hanno deciso i giudici di un tribunale ungherese a dispetto della sentenza, di pochi mesi fa, di un loro collega monocratico che invece si era opposto. Accade ovunque nel mondo, anche in Italia, che un Gip conceda gli arresti preventivi e l’altro – quello del Riesame – li revochi. Ma nel caso ungherese tutte le colpe sono sempre state addossate al “regime orbaniano” e ogni sentenza, per quanto legittima ed opera dei magistrati indipendenti, veniva venduta nel Belpaese come uno “schiaffo” all’Italia.
Se le precedenti decisioni giudiziarie erano uno sgarbo a Roma, per logica ieri è arrivata una carezza. Ma se il ministro Tajani rivendica il lavoro “sotto traccia” portato avanti dalla diplomazia, senza “rullo di tamburi” o “urla”, il papà di Ilaria sostiene che non sia affatto merito del governo. Anzi: per Roberto il risultato sarebbe la diretta conseguenza della campagna mediatica e della candidatura della figlia all’Europarlamento con Alleanza Verdi e Sinistra.
Ad essere onesti, però, occorre registrare almeno due fatti. Lato ministero degli Esteri, Tajani ha sempre dettato una linea ben chiara: da una parte presentare le rimostranze del caso contro il governo Orban per le condizioni di detenzione a cui era sottoposta Ilaria Salis (leggasi: la cella poco accogliente e le catene in aula, benché anche l’Italia faccia altrettanto coi suoi detenuti); e dall’altro mantenere “rapporti positivi con le autorità ungheresi” perché -è sempre stata la convinzione della Farnesina- la politicizzazione del caso non avrebbe aiutato. Il governo italiano non può intervenire sulle decisioni dei magistrati tricolore, figuriamoci se può costringere una toga straniera ad emettere decreti favorevoli a un imputato italiano all’estero.
Ma ciò che Roberto Salis dovrebbe ammettere è che a sbloccare la situazione sono stati i consigli legali (gratuiti) forniti dal ministro Carlo Nordio. Per un anno, infatti, gli avvocati e la famiglia hanno richiesto ai magistrati la detenzione preventiva direttamente in Italia, una ipotesi – spiegava Nordio – “che non era consentita dagli accordi internazionali”. Il motivo? Salis ha spiegato più volte di ritenere che “non fosse sicuro per Ilaria un domicilio lì” e di essersi convinto solo dopo che il ministro della Giustizia italiano ha caldeggiato questa ipotesi, ritenendo che “non ci fossero più i problemi di sicurezza che temevamo”.
La questione era dunque soprattutto procedurale. E imboccando “la strada giusta” sin da subito, forse la detenzione in carcere di Ilaria sarebbe potuta terminare prima. Risalgono all’8 marzo le dichiarazioni del Guardasigilli sul caso: dopo l’errore di chiedere i domiciliari direttamente in Italia, “sono stati chiesti in Ungheria” e “se fossero concessi allora sì, potremmo procedere con una richiesta per la trasformazione degli arresti domiciliari in Italia”. Non si era potuto fare prima “perché la transizione dalla detenzione carceraria in Ungheria alla detenzione domiciliare in Italia, senza il transito della detenzione domiciliare in Ungheria, non era possibile”. Almeno questo, Roberto Salis potrebbe riconoscerlo.
Giuseppe De Lorenzo, 16 maggio 2024
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