Come è possibile che gli indicatori dell’economia reale siano tutti negativi e invece i mercati finanziari brindino? A differenza di quanto pensino in molti finanza ed economia devono andare a braccetto.
Altrimenti prima o poi si scoppia. Partiamo da «main street». Il prodotto che l’Italia genererà quest’anno, sarà superiore, sempre che tutto vada secondo previsioni, di appena lo 0,3 per cento rispetto al nulla che è cresciuto nel 2019. Francia e Germania, si sentono in crisi, eppure il loro Pil farà un balzetto tre volte superiore a quello italiano. Siamo il paese che cresce meno in Europa. In un paese prevalentemente industriale, la produzione non solo si è fermata, ma è arretrata dell’1,3 per cento: il dato peggiore in un lustro. Se le aziende non producono, anche ciò che sta loro intorno frena: servizi professionali, ristorazione, trasporti e così via.
Terzo fattore negativo è l’occupazione. Qua non va bene nulla. Gli italiani che cercano un posto di lavoro o che già lo hanno sono un numero molto più basso che nel resto dell’Europa: come se avessimo rinunciato ad un impiego. A ciò si aggiunga che tra di questi, la percentuale dei disoccupati è vicina al 10 per cento. Chi un posto di lavoro invece lo ha, rischia come mai negli anni precedenti di beccarsi qualche giorno di cassa integrazione, che è ai massimi.
Parliamoci chiaro. Il motore dell’economia reale non sta girando: è inceppato. Noi ci appassioniamo all’emergenza virus, al dibattito sulla prescrizione, all’immigrazione più o meno controllata, ma la vera e gigantesca emergenza è l’economia reale che non va.
Un governo che si rispetti dovrebbe oggi andare dagli imprenditori e fare loro una sola domanda: cosa vi serve? Nelle settimane scorse il presidente della Confindustria Lombardia, Marco Bonometti, ha fisicamente radunato un parterre di imprenditori bresciani intorno a un tavolo, invitando nella sua bella azienda il ministro dello Sviluppo economico, Patuanelli. Il quale ha ascoltato, preso appunti, e dimostrato attenzione. Ma non basta un ministro. Per una emergenza devono lavorare tutti insieme. Senza distrazioni.
Eppure nella finanza le cose non vanno così male. Il famoso spread, cioè il differenziale di rendimento tra i titoli decennali italiani e quelli più virtuosi dell’Europa, cioè i tedeschi, è a minimi. Il Tesoro la settimana scorsa si è presentato dagli investitori è ha offerto loro un titolo pubblico con la scadenza trentennale. Ha chiesto al mercato di comprare sette miliardi di euro in titoli che scadono, pensate un po’ voi, nel 2050. E per di più ha offerto un misero interesse del 2,5 per cento. Gli investitori hanno fatto a gara per accaparrarselo con richieste per 47 miliardi. Due giorni fa un titolo pubblico triennale è stato addirittura piazzato a tassi negativi: cioè i risparmiatori hanno dato al Tesoro 100 euro, per riceverne nel 2023 solo 99. Roba da matti o da economia che tira. Le Borse, nonostante il virus sono gonfie, quella italiana è quasi sui massimi. I nostri concittadini hanno depositato sui loro conti correnti in liquidità 1400 miliardi di euro. Insomma uno scenario incredibile: che sembra far letteralmente a botte con le fosche previsioni e i pessimi consuntivi dell’economia reale.
Eppure purtroppo le due cose si tengono insieme, fino a quando la coppia non imploderà. Il nostro spread, la corsa ai nostri titoli (anche quelli spagnoli hanno fatto richieste tre volte superiori all’offerta e a tassi decisamente più bassi), il contante in banca (francesi e tedeschi ne hanno anche più di noi) sono solo il frutto della politica monetaria della Banca centrale europea. A novembre ha deciso di riprendere a comprare titoli di Stato: circa 20 miliardi al mese, di cui almeno tre sono Btp. Nel mondo c’è una bolla di liquidità mai vista, che spinge addirittura in negativo gli interessi: e quando un investitore trova un titolo, come il nostro Btp trentennale che genera il 2,5 per cento, si getta a pesce: sapendo per di più che è nel basket delle obbligazioni che la Bce compra ogni mese.