Nel nostro italico mondo alla rovescia non credo che siano in molti a porsi la seguente domanda: come mai, malgrado l’evidente endimizzazione del coronavirus, il quale ad ogni variante diviene sempre meno letale, nessuna delle misure autolesionistiche che ingessano il Paese è stata almeno alleggerita, contrariamente a ciò che sta avvenendo in molti altri Stati europei? Anzi: in Italia le restrizioni aumentano. Lo dimostra il Dpcm approvato oggi, che nega pure il ritiro della pensione a chi non è vaccinato e prescrive in quali “negozi essenziali” non occorre mostrare il green pass. Misure e protocolli che, in gran parte basati sui sempre più irrilevanti contagi, stanno letteralmente paralizzando il nostro sistema nel suo complesso, ospedali compresi.
La risposta è molto semplice, a mio modesto parere: non si muoverà foglia fino a quando non si scioglierà il nodo assai intricato dell’elezione del nuovo inquilino del Quirinale. E dal momento che il nostro illustre premier, Mario Draghi, ha manifestato in parecchie occasioni l’intenzione di voler concludere la sua prestigiosa carriera sull’ambito Colle, le stesse misure da incubo restano cristallizzate, in quanto esse rappresentano una preziosa moneta di scambio per l’ex presidente della Bce.
In estrema sintesi, nel caso le mire di Draghi non dovessero realizzarsi, egli potrebbe decidere in piena autonomia, non dipendendo direttamente da nessun partito politico, di capovolgere in tutto o in parte la linea del terrore fin qui sostenuta a spada tratta dalla maggior parte delle compagini che compongono la sua maggioranza, mettendo queste ultime in una posizione assai difficile. Posizione che lascerebbe alle stesse due sole opzioni: o accettarle supinamente, sconfessando in maniera clamorosa quanto raccontato negli ultimi due anni, oppure rifiutare di appoggiarle, ponendo in minoranza lo stesso Draghi e creando in tal modo i presupposti per una politicamente – per loro – devastante crisi di governo.
Sotto questo profilo, per usare un francesismo, possiamo dire che il presidente del Consiglio tiene i politici che lo appoggiano, soprattutto coloro i quali continuano a speculare sulla pandemia e che non intendono andare a casa prima del tempo, letteralmente per i cosiddetti. Quando infatti egli parla dell’esigenza di un esecutivo che, a prescindere da chi lo guiderà in futuro, dovrà prioritariamente proseguire in continuità con quanto finora realizzato, in realtà sta semplicemente mandando alla sua maggioranza un chiaro avvertimento che suona più o meno così: o mi mandate al Quirinale o faccio cadere il fragile castello di carte su cui si regge l’attuale legislatura.
Tutto questo, ahinoi, si gioca sulla pelle di un Paese sempre più stremato non da un virus che è sempre stato un grave problema per una ristretta fascia della popolazione, bensì da un asfissiante controllo burocratico della nostra esistenza che con la tutela della salute non a nulla a che vedere.
Claudio Romiti, 21 gennaio 2022