Speciale elezioni politiche 2022

Paragone, l’antitutto che può rivelarsi sorpresa

Speciale elezioni politiche 2022

Il guaio di Gianluigi Paragone è uno solo: essere nato qui invece che in Inghilterra. “Brexit”, vedi come suona liscio, veloce. ItalExit è già farraginoso, forzato: allora perché non EscItalia? Sempre quel provincialismo, un po’ varesotto, ma passi: Paragone piace ai “c’è chi dice no” perché dice no, magari con chitarra a tracolla, fa molto rockstar e perché è uno tutt’altro che sprovveduto, capace di navigare nel mare procelloso, che dice di voler prosciugare e che sa dire cose anche di buon senso. Apparentemente. Poi, all’atto pratico, è un altro paio di maniche.

Da antisistema a antitutto

Per esempio, il barbudo si definisce anti. Antitutto. Antisistema. Ma è difficile trovare uno che il sistema, qualsiasi cosa si voglia intendere, lo bazzica più a fondo e da più tempo. Ha girato i giornali, ha girato la Rai in tutti i corridoi: sicuramente senza sponsor politici, perché al servizio pubblico, notoriamente, si entra da soli. È sbarcato a La7: stessa storia, “mancherebbe”, come diceva Cesira, Franca Valeri, nel “Segno di Venere”. Ha diretto la Padania, evidentemente senza alcun avallo leghista. È stato, e tuttora ne esce, senatore, per i 5 Stelle, da cui poi si è staccato: e il gioco potrebbe continuare. Forse, Paragone per antisistema intende questo: far parte di qualcosa, poi scatenare un cafarnao e rimbalzare a un altro contesto: restando sempre sistemato.

Insomma, lui è dalla genia dei casinisti, che alla fine, esauriti i posti da incasinare, se ne creano uno su misura. Lui ha fatto ItalExit, che ovviamente non è un partito, ma forse neanche un movimento (ha già dato), non è una accozzaglia, non è un centro di potere, insomma: come chiamarlo? Una comunità, un sentimento, una concordanza d’amorosi e moderati sensi: talmente moderati che ha messo dentro post-compagni, post-fascisti. Insomma, gli incazzati di tutte le parti, non senza ottime ragioni. Solo che son subito finiti a scannarsi tra loro, l’ipercompagno sardo Corrias, per esempio, non si era accorto di dover correre con quelli di Forza Nuova, e ha mollato appena entrato.

ItalExit, i candidati

I presupposti, insomma, sono ottimi. In ItalExit ci sta un po’ di tutto, ragionanti e lunatici, esaltati e rancorosi, complottisti, ossessivi, informati, diversamente moderati. Ma più che altro: anti. Antisistema. Antitutto. C’è lo scaricatore stanco di scaricare, il Puzzer che garantiva col sangue che mai si sarebbe candidato. C’è Nunzia Schilirò, l’ex vicequestore, che puntava forse alle più istituzionali Lega e Fratelli d’Italia, che tuttavia ne diffidavano, ma non s’è arresa e infine ha trovato una casa: forse seguendo i consigli di se stessa allo specchio: Nunzia, Nunzia del mio tormento, chi sarebbe la più bella in Parlamento? Io te lo dico, in ItalExit non c’è onorevola più sexy di te. Ci son filosofi un po’ fusi come Fusaro, medici gentili e coerenti come Frajese, un altro che candidarmi? Chi? Io? Dove? Quando? State scherzando? E poi: ho cambiato idea. Sempre col sorriso “un po’ ironico, garbato” del maledetto gatto di Lucio Battisti. Mi scuso, se nel frattempo qualcuno è scappato, ma nelle formazioni frizzantine come ItalExit è sempre tutto così effervescente, imprevedibile, inafferrabile.

Sempre la stessa ricetta

Il progetto politico è presto detto: no a tutto, noi siamo anti. E allora: no alla Nato; no alla Ue; no all’euro, no alle sanzioni contro Putin (tutte le sanzioni, sia chiaro); no “a qualsiasi forma di controllo e di limitazione sociale”, che di per sé suona bene ma non vuol dire un cazzo, vivendo bene o male, più male che bene, in un regime formalmente democratico che per sua natura è fatto anche di limitazioni, obblighi, controlli: l’importante è non esagerare. Per dire, se lo Stato mi impedisce di uscire a suon di lockdown, mi va benissimo: se però nelle limitazioni da abbattere ci sta, che so, anche quella che proibisce l’omicidio, qualche problema mi sorge. E se mi vuoi fuori dalla Nato, ma non dici una parola sullo star fuori dall’orbita di Putin, almeno in linea teorica, beh, altro che dettagli. Altro che libertà.

Le proposte, si vuol dire, prese una per una possono anche essere condivisibili (chi scrive, per onestà verso il lettore, sottoscrive il rifiuto della Ue, dell’euro, del vax obbligatorio, del coprifuoco…); è il combinato disposto a lasciare qualche perplessità. Insieme al contesto. Perché se fra tutti i no mi metti un unico sì, alla “piena occupazione” senza specificarmi come ci arrivi, allora il vecchio vizio del populismo onirico grillino torna fuori intonso. Caro Paragone, nella piena occupazione ci metti o ci togli il reddito di cittadinanza? E come la crei, con più o meno tasse? Qui siamo scarsi, siamo scarsi, come motteggiava il Dogui. Nondimeno, possiamo arguire qualcosa: se in pancia questa formazione antagonista ha le estreme di destra e di sinistra, è facile intuire che la ricetta è sempre la stessa: no al sovrastato e va bene, però sì allo Stato che tutto fa e tutto fornisce. Nostalgici fasci e compagni, su questo, non transigono; e concordano. E allora il gioco del no a tutto diventa appunto un gioco, e dalle carte truccate: almeno per chi, da liberale, davanti a certe ricette sente immediatamente rizzarsi i peli.

C’è una cosa, come fa uno sempre stato nel sistema a creare i presupposti per abbattere il sistema? E perché, in fondo, dovrebbe? Più facile che punti a restarci dentro, il che è esattamente quanto lascia sospettare a taluni questa fuggente ItalExit. “Trova ciò che ami e lascia che ti uccida”. Fuggente e sfuggevole: quo vadis, ItalExit? Troppi, lì in mezzo, evidentemente cercano di entrare dove dicono di voler uscire. È un gioco antico, e se ne conosce anche il finale: entrare, sistemarsi, scoprire le stanze o almeno gli sgabuzzini dei bottoni, cominciare le faide dei duri e più duri che portano alla liquefazione, infine svendersi in ordine sparso al peggior offerente. Non perché Paragone e la sua Armata Brancaleone siano peggio degli altri, semmai sono come tutti gli altri nella pretesa di non esserlo. E le formazioni che nascono e si nutrono di antagonismo forsennato, poi sono le prime a divorarsi da sole.

Come i primi 5 Stelle

Proprio come la setta a 5 stelle: che doveva aprire il Parlamento come la famosa scatoletta di tonno, invece chi ci è entrato ha scoperto che il Parlamento si tagliava con un grissino e adesso vuol restarci anche sott’olio. E propone redditi di cittadinanza che costano 10 miliardi l’anno, tanto li paga chi lavora e li incassa chi non fa niente, nella migliore delle ipotesi. Affollata e rissosa è la concorrenza della buona morte antagonista: ci sono quelli di Ingroia e Rizzo, quelli della Cunial, altra grillina spretata, coi cascami del No Paura Day, c’è ItalExit che sembra la più organizzata, la più titolata a superare la soglia del fatidico 3 per cento. Ma non parliamo di tabula rasa, per favore: è sempre la solita battuta di Woody Allen sulla rivoluzione francese, gli scalmanati che cacciano dal Palazzo i reali e subito cambiano le serrature.

Certo, però, che questo regime, di cui gli antagonisti di ieri sono stati parte integrante, ce l’ha messa tutta per far nascere un movimento di scontenti, di opportunisti, di populisti. Ed è stato un regime assai poco democratico in verità. Quella dei lockdown, delle somministrazioni perenni, dei divieti paranoidi è stata la pagina più nera, più squallida, più vergognosa nella storia Patria, e non solo repubblicana. Non si può incolpare Paragone di aver colto al balzo la palla dello scontento, se pure è una palla che somiglia a una bomba pronta a esplodere.

Max Del Papa, 23 settembre 2022