La finestra temporale nella quale il vaccinato è più infettivo di un non vaccinato
Inutile nascondersi dietro un dito. Il soggetto che si vaccina è più infettivo di un non vaccinato nel medio termine. Ma lo è anche nelle due settimane successive all’inoculo. Infatti, secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal già a marzo 2021, i vaccinati risultano più contagiosi rispetto ai non vaccinati negli 8-14 giorni successivi alla vaccinazione. E molte altre ricerche lo dimostrano in modo chiaro. Ad esempio, il seguente grafico, tratto da uno studio di Hunter et al. relativo al Regno Unito [7], documenta che il numero di casi positivi (cioè delle nuove infezioni) all’incirca raddoppia dopo la 1a dose fino all’8° giorno, tornando ai valori iniziali solo dopo circa 2 settimane, mentre poi continua la discesa (come accade, peraltro, anche a chi ha l’infezione naturale, che inizia a diventare immune dalla 10a giornata [2]).
Incidenza giornaliera di nuove infezioni da SARS-CoV-2 a vari giorni dalla prima dose di vaccino. (fonte: [22])
La stessa cosa si è vista in Brasile, dove, secondo lo studio di Hitchings et al. [8], si è osservato un aumento del 69% della contagiosità (e quindi del rischio di trasmettere l’infezioni a terzi) rispetto ai non vaccinati nei primi 14 giorni (cioè dal giorno 0 al giorno 13) dopo la prima dose [2]. Questo per le forme sintomatiche della malattia da Covid, mentre per tutte le infezioni (cioè non solo le sintomatiche) l’aumento rispetto ai non vaccinati è stato dell’85%, ovvero la contagiosità è quasi doppia rispetto ai non vaccinati. Sì, avete capito bene: il vaccinato in quei giorni è doppiamente più contagioso (e dunque “pericoloso”) di un non vaccinato. In pratica, quindi, l’efficacia vaccinale è apprezzabile solo dopo il 14-esimo giorno dall’inoculo.
La recente pubblicazione, sul New England Journal of Medicine, di una ricerca relativa al Qatar svolta da Chemaitelly et al. [9] conferma questa diminuzione della protezione antinfettiva (-5,3%) del vaccino Pfizer nei 14 giorni che seguono all’inoculo e mostra in un grafico – che trovate di seguito – come la protezione dalla malattia vada fortemente diminuendo dopo pochi mesi dalla seconda dose, quando diventa trascurabile (intorno al 20% a partire dal 5° mese).
Secondo gli Autori dello studio fatto in Qatar, la protezione dall’infezione da SARS-CoV-2 da 5 a 7 mesi dopo la seconda dose diventa “trascurabile”. (fonte: [2] tratta da [9])
Attraverso un altro metodo di calcolo illustrato nell’appendice dello studio principale (si veda la tabella qui sotto), Chemaitelly et al. [9] mostrano che, a partire dal quinto mese in poi, la protezione non resta di segno positivo (seppure trascurabile, come emergeva con il design test-negativo, che tende a esagerare l’efficacia vaccinale), ma c’è addirittura una inversione della protezione antinfettiva (-11,4% al 5° mese, -20,6% al 6° mese, etc.) per le forme sintomatiche di SARS-CoV-2, cioè da quel momento il vaccinato contagerebbe di nuovo più del non vaccinato [2]. Un risultato che ha certamente del clamoroso, e che non potrà essere ignorato dai sostenitori del Green Pass e dalle Autorità.
Si noti che in Qatar sono molto più giovani rispetto a noi italiani; quindi, con un sistema immunitario che funziona meglio, per cui – semmai – ci si doveva aspettare che la vaccinazione proteggesse meglio loro rispetto a quanto non possa fare con gli anziani che abbiamo noi. Ciò fornisce quindi, di fatto, il “colpo di grazia” alla concezione che vaccinando le persone si tutelano gli altri (e non, invece, solo se stessi), che vale per i vaccini tradizionali ma purtroppo non per quelli “leaky”.
Le conseguenze per la trasmissione del Covid e per il Green Pass
D’altra parte, ormai molti studi scientifici mostrano che la carica virale è uguale nei vaccinati e nei non vaccinati [10, 11]. Infatti, i test basati sulla Polymerase Chain Reaction (PCR), ovvero i cosiddetti “tamponi molecolari”, forniscono informazioni semi-quantitative sulla carica virale, o quantità di RNA di SARS-CoV-2 nei campioni respiratori e sono stati usati per confrontare la quantità di SARS-CoV-2 presente nei campioni positivi al test delle persone, ovvero la loro cosiddetta “carica virale”.
Da Riemersma et al. [10] non è stata trovata alcuna differenza nelle cariche virali quando si confrontano gli individui non vaccinati con quelli che hanno infezioni “sovrapposte” da vaccino. Inoltre, gli individui vaccinati che si infettano spesso risultano positivi con cariche virali coerenti con la capacità di diffondere a terzi virus infettivi. Tali risultati, sebbene preliminari, suggeriscono che, se gli individui vaccinati vengono infettati dalla variante Delta, possono essere fonti di trasmissione di SARS-CoV-2 ad altri. Anche Acharya et al. [11] non hanno riscontrato differenze significative nei valori di soglia di PCR (e quindi di carica virale) tra gruppi vaccinati e non vaccinati, asintomatici e sintomatici infettati dalla variante Delta.
Dunque, poiché la carica virale dei vaccinati e dei non vaccinati è praticamente la stessa, il rischio di trasmissione del SARS-CoV-2, da un certo momento in poi, risulta essere più legato ai vaccinati che non ai non vaccinati, a parità di numero di persone considerate. In sostanza, dopo pochi mesi dalla seconda dose, il Green Pass perde completamente di senso e, anzi, diventa controproducente, trasmettendo ai vaccinati e alle Autorità sanitarie un senso di falsa sicurezza.
In conclusione, mentre non è in discussione (almeno per vari mesi dopo il secondo inoculo), la protezione del vaccino dalle forme gravi di Covid-19 (questa, secondo lo studio svolto su Pfizer nel Qatar, risulta dimezzata al 7° mese dopo la vaccinazione [9], v. figura), l’efficacia del vaccino nel prevenire le infezioni è presente solo per un periodo di tempo relativamente breve: infatti, nei primi 15 giorni e dopo circa 5 mesi dalla seconda dose i vaccinati sono almeno altrettanti contagiosi dei non vaccinati (se non di più), che è esattamente il contrario di ciò che le persone oggi credono.
Efficacia del vaccino Pfizer contro i casi di Covid-19 gravi, critici o fatali. I dati sono presentati come stime puntuali di efficacia, con barre che indicano i corrispondenti intervalli di confidenza al 95%. A partire dal 7° mese risulta praticamente dimezzata, aumentando il rischio di morte. (fonte: [9])