di Paolo Becchi e Mario Menichella
Il green pass ha tre punti deboli: induce un falso senso di sicurezza, che porta le persone ad allentare le normali precauzioni; non spinge a vaccinarsi, ma ha anzi l’effetto opposto, se si fa un confronto a livello europeo (v. il nostro articolo del 9 dicembre); e, infine, è epidemiologicamente pericoloso, in quanto è un vero e proprio “lasciapassare” per il virus, come ora mostreremo dati alla mano. Il Green Pass è stato introdotto nell’illusione che limitasse la circolazione del virus poiché – pensavano i decisori politici e sanitari – il vaccino avrebbe dovuto ridurre di molto la probabilità di infezione di terzi da parte di vaccinati contagiati.
Peccato, però, che nei mesi successivi si sia scoperto che questo non è vero. O meglio, ciò è vero solo nei primi mesi, quando i vaccini anti-Covid attuali sono abbastanza efficaci nel ridurre la possibilità di infezione da parte dei vaccinati; ma poi questa protezione cala rapidamente nel tempo, con il paradosso che i non vaccinati con tampone negativo sono meno pericolosi dei vaccinati, che normalmente sono non “tamponati” in quanto hanno il Green Pass.
In una situazione del genere, quindi, insistendo nella caccia all’untore, cioè al non vaccinato (sia esso adulto o bambino) non si ottiene necessariamente una riduzione della circolazione virale, in quanto – come ha ammesso anche il governo – oggi in Italia anche chi prende il Covid (per quanto ciò sia davvero incredibile) ha – se vaccinato – il Green Pass sempre valido e, probabilmente, in molti casi neanche si rende conto di essere contagiato e contagioso perché non va a farsi di continuo un tampone. Insomma, non il non vaccinato ma il vaccinato è una sorta di “mina vagante”.
La ragione per cui i vaccini anti-Covid attuali hanno questo bizzarro comportamento è che – come scriviamo ormai da mesi, quando nessuno in Italia ne parlava – sono “leaky”, ovvero sono dei vaccini immunizzanti che prevengono la malattia ed i suoi effetti più gravi senza effettivamente prevenire l’infezione. Essi si differenziano dai vaccini tradizionali, che sono “sterilizzanti”, cioè impediscono agli agenti patogeni di replicarsi dentro di noi e quindi ci impediscono di trasmettere l’infezione ad altri. Per la verità, in senso tradizionale non sono vaccini e si è persino dovuto modificare la definizione di vaccino per poterli chiamare vaccini.
Quanto dura davvero la protezione dall’infezione del vaccino Pfizer?
Quanto è durata la protezione dall’infezione con il vaccino Pfizer in Israele? La domanda non è peregrina, perché questo è il vaccino anti-Covid – insieme a Moderna, che è simile – di gran lunga più utilizzato anche da noi. Vediamo cosa ha scoperto uno studio di Goldberg et al. [1] che, molto opportunamente, ha analizzato il database nazionale relativo alla popolazione israeliana nel periodo dall’11 al 31 luglio 2021, quando in quel Paese circolava solo la variante Delta (che è quella attualmente ancora dominante anche da noi), perché è inutile continuare ad andare a vedere cosa succedeva con il ceppo di Wuhan o con la variante inglese (alfa), che non ci sono più.
Ebbene, secondo questa ricerca pubblicata dal New England Journal of Medicine, l’immunità contro la variante Delta del SARS-CoV-2 svanisce, in tutti i gruppi di età, alcuni mesi dopo aver ricevuto la seconda dose. Il grafico qui mostrato rende l’idea del fatto che, a distanza di 5 mesi dalla seconda dose, in soli 1-2 mesi (dal 15 giugno al 1° di agosto, un mese e mezzo) si arriva a una situazione in cui, fra le persone vaccinate con doppia dose, le infezioni confermate sono aumentate di 100 volte e le malattie gravi di 10 volte [2]. Per questo, in Israele si sono precipitati a fare la terza dose.
Infezioni da SARS-CoV-2 confermate quotidianamente e nuovi casi gravi di Covid-19 tra le persone completamente vaccinate in Israele, da giugno a inizio agosto 2021. Il grafico mostra l’aumento del numero di infezioni giornaliere da sindrome respiratoria acuta grave da SARS-CoV-2 ed i nuovi casi di malattia da Covid-19 grave, su scale diverse, durante l’ondata della variante Delta tra le persone che avevano ricevuto due dosi di vaccino. Un risultato non esattamente rassicurante. (fonte: [1])
Un altro studio scientifico di enorme interesse svolto da Israel et al. [3] ha confrontato gli anticorpi a 6 mesi di distanza da due dosi vaccinali e dall’infezione naturale da SARS-CoV-2. Il risultato è stato che la protezione fornita dall’infezione naturale è più robusta e duratura di quella fornita dal vaccino, ma soprattutto ha spiegato il motivo. Infatti, inizialmente le IGG sono più alte nei soggetti vaccinati, ma purtroppo questo studio mostra che la protezione da vaccino decade molto rapidamente: del 40% ogni mese [2], mentre quella dei convalescenti da Covid-19 decade meno del 5% ogni mese.
Come mostra lo studio in questione, a 6 mesi di distanza i soggetti vaccinati con doppia dose avevano una percentuale non indifferente (il 16,1%) di soggetti che erano al di sotto della soglia stimata come minima per la protezione (soglia di sieropositività < 50 AU/ml). A 9 mesi di distanza, invece, solo il 10,8% dei pazienti che avevano avuto l’infezione naturale da SARS-Cov-2 si trovavano al di sotto di tale soglia. È dunque senza dubbio più protettiva la malattia o l’infezione asintomatica del vaccino.
Ma di quanto è protettiva la malattia? La risposta ce la fornisce uno studio pubblicato su Jama [4], relativo alla Lombardia, da cui si vede che, rispetto a chi non ha mai contratto prima la Covid-19, i soggetti che hanno avuto in precedenza la malattia hanno una protezione ben 15 volte maggiore contro le re-infezioni. Si noti che questo studio si riferisce alle varianti precedenti la Delta. Con la Delta in realtà il divario è ancora maggiore, come ha mostrato lo studio di Gazit et al. in Israele [5], poiché l’immunità da malattia naturale è risultata, rispetto a quella indotta da vaccino: circa 13 volte più efficace contro l’infezione; circa 27 volte più efficace contro la Covid-19.
Si noti che, se anche un giorno sparisse la Delta, sarà perché ci sarà qualcosa che l’avrà soppiantata, come ad esempio la variante Omicron, che si diffonde ben più velocemente. In effetti, una delle cose che ci insegna la passata esperienza con vaccini “leaky” usati sugli animali è che i vaccini, dopo un certo tempo, vengono aggirati dai cosiddetti “ceppi mutanti di fuga”, che possono dare origine a nuove varianti perfino più letali delle precedenti, come avvenuto con i vaccini “leaky” usati nei polli contro il virus che provoca la malattia di Marek [6, 15].
La finestra temporale nella quale il vaccinato è più infettivo di un non vaccinato
Inutile nascondersi dietro un dito. Il soggetto che si vaccina è più infettivo di un non vaccinato nel medio termine. Ma lo è anche nelle due settimane successive all’inoculo. Infatti, secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal già a marzo 2021, i vaccinati risultano più contagiosi rispetto ai non vaccinati negli 8-14 giorni successivi alla vaccinazione. E molte altre ricerche lo dimostrano in modo chiaro. Ad esempio, il seguente grafico, tratto da uno studio di Hunter et al. relativo al Regno Unito [7], documenta che il numero di casi positivi (cioè delle nuove infezioni) all’incirca raddoppia dopo la 1a dose fino all’8° giorno, tornando ai valori iniziali solo dopo circa 2 settimane, mentre poi continua la discesa (come accade, peraltro, anche a chi ha l’infezione naturale, che inizia a diventare immune dalla 10a giornata [2]).
Incidenza giornaliera di nuove infezioni da SARS-CoV-2 a vari giorni dalla prima dose di vaccino. (fonte: [22])
La stessa cosa si è vista in Brasile, dove, secondo lo studio di Hitchings et al. [8], si è osservato un aumento del 69% della contagiosità (e quindi del rischio di trasmettere l’infezioni a terzi) rispetto ai non vaccinati nei primi 14 giorni (cioè dal giorno 0 al giorno 13) dopo la prima dose [2]. Questo per le forme sintomatiche della malattia da Covid, mentre per tutte le infezioni (cioè non solo le sintomatiche) l’aumento rispetto ai non vaccinati è stato dell’85%, ovvero la contagiosità è quasi doppia rispetto ai non vaccinati. Sì, avete capito bene: il vaccinato in quei giorni è doppiamente più contagioso (e dunque “pericoloso”) di un non vaccinato. In pratica, quindi, l’efficacia vaccinale è apprezzabile solo dopo il 14-esimo giorno dall’inoculo.
La recente pubblicazione, sul New England Journal of Medicine, di una ricerca relativa al Qatar svolta da Chemaitelly et al. [9] conferma questa diminuzione della protezione antinfettiva (-5,3%) del vaccino Pfizer nei 14 giorni che seguono all’inoculo e mostra in un grafico – che trovate di seguito – come la protezione dalla malattia vada fortemente diminuendo dopo pochi mesi dalla seconda dose, quando diventa trascurabile (intorno al 20% a partire dal 5° mese).
Secondo gli Autori dello studio fatto in Qatar, la protezione dall’infezione da SARS-CoV-2 da 5 a 7 mesi dopo la seconda dose diventa “trascurabile”. (fonte: [2] tratta da [9])
Attraverso un altro metodo di calcolo illustrato nell’appendice dello studio principale (si veda la tabella qui sotto), Chemaitelly et al. [9] mostrano che, a partire dal quinto mese in poi, la protezione non resta di segno positivo (seppure trascurabile, come emergeva con il design test-negativo, che tende a esagerare l’efficacia vaccinale), ma c’è addirittura una inversione della protezione antinfettiva (-11,4% al 5° mese, -20,6% al 6° mese, etc.) per le forme sintomatiche di SARS-CoV-2, cioè da quel momento il vaccinato contagerebbe di nuovo più del non vaccinato [2]. Un risultato che ha certamente del clamoroso, e che non potrà essere ignorato dai sostenitori del Green Pass e dalle Autorità.
Si noti che in Qatar sono molto più giovani rispetto a noi italiani; quindi, con un sistema immunitario che funziona meglio, per cui – semmai – ci si doveva aspettare che la vaccinazione proteggesse meglio loro rispetto a quanto non possa fare con gli anziani che abbiamo noi. Ciò fornisce quindi, di fatto, il “colpo di grazia” alla concezione che vaccinando le persone si tutelano gli altri (e non, invece, solo se stessi), che vale per i vaccini tradizionali ma purtroppo non per quelli “leaky”.
Le conseguenze per la trasmissione del Covid e per il Green Pass
D’altra parte, ormai molti studi scientifici mostrano che la carica virale è uguale nei vaccinati e nei non vaccinati [10, 11]. Infatti, i test basati sulla Polymerase Chain Reaction (PCR), ovvero i cosiddetti “tamponi molecolari”, forniscono informazioni semi-quantitative sulla carica virale, o quantità di RNA di SARS-CoV-2 nei campioni respiratori e sono stati usati per confrontare la quantità di SARS-CoV-2 presente nei campioni positivi al test delle persone, ovvero la loro cosiddetta “carica virale”.
Da Riemersma et al. [10] non è stata trovata alcuna differenza nelle cariche virali quando si confrontano gli individui non vaccinati con quelli che hanno infezioni “sovrapposte” da vaccino. Inoltre, gli individui vaccinati che si infettano spesso risultano positivi con cariche virali coerenti con la capacità di diffondere a terzi virus infettivi. Tali risultati, sebbene preliminari, suggeriscono che, se gli individui vaccinati vengono infettati dalla variante Delta, possono essere fonti di trasmissione di SARS-CoV-2 ad altri. Anche Acharya et al. [11] non hanno riscontrato differenze significative nei valori di soglia di PCR (e quindi di carica virale) tra gruppi vaccinati e non vaccinati, asintomatici e sintomatici infettati dalla variante Delta.
Dunque, poiché la carica virale dei vaccinati e dei non vaccinati è praticamente la stessa, il rischio di trasmissione del SARS-CoV-2, da un certo momento in poi, risulta essere più legato ai vaccinati che non ai non vaccinati, a parità di numero di persone considerate. In sostanza, dopo pochi mesi dalla seconda dose, il Green Pass perde completamente di senso e, anzi, diventa controproducente, trasmettendo ai vaccinati e alle Autorità sanitarie un senso di falsa sicurezza.
In conclusione, mentre non è in discussione (almeno per vari mesi dopo il secondo inoculo), la protezione del vaccino dalle forme gravi di Covid-19 (questa, secondo lo studio svolto su Pfizer nel Qatar, risulta dimezzata al 7° mese dopo la vaccinazione [9], v. figura), l’efficacia del vaccino nel prevenire le infezioni è presente solo per un periodo di tempo relativamente breve: infatti, nei primi 15 giorni e dopo circa 5 mesi dalla seconda dose i vaccinati sono almeno altrettanti contagiosi dei non vaccinati (se non di più), che è esattamente il contrario di ciò che le persone oggi credono.
Efficacia del vaccino Pfizer contro i casi di Covid-19 gravi, critici o fatali. I dati sono presentati come stime puntuali di efficacia, con barre che indicano i corrispondenti intervalli di confidenza al 95%. A partire dal 7° mese risulta praticamente dimezzata, aumentando il rischio di morte. (fonte: [9])
Perché questi dati fanno saltare totalmente il presupposto del Green Pass
Ciò crea evidenti problemi per un obbligo dei vaccini attuali, sia esso sotto forma di legge o anche solo surrettizio sotto forma di Green Pass e Super Green Pass (come avviene oggi). Infatti, se i vaccinati (ben più numerosi dei non vaccinati) dopo pochi mesi non sono più protetti da infezioni (e neppure da forme sintomatiche), chi non si vaccina in realtà non danneggia altri, e allora perché si dovrebbe obbligarlo a vaccinarsi? La decisione se vaccinarsi o meno andrebbe di nuovo ricondotta alle libere scelte individuali.
Poiché la durata del Green Pass, che in precedenza era di 12 mesi, è stata portata a 9 mesi, in pratica vi saranno ben 4,5 mesi in cui i vaccinati contageranno quanto i non vaccinati (se non più), come abbiamo schematizzato nella figura qui sotto sulla base della letteratura scientifica appena vista. D’altra parte, risulta inverosimile vaccinare la popolazione 2 volte e mezzo all’anno per rimediare. Quindi, non si può che prendere atto del fatto che applicare restrizioni di libertà ai non vaccinati non solo non ha senso, ma è illegittimo poiché essi non creano più danno/rischi agli altri rispetto ai vaccinati.
L’efficacia del vaccino Pfizer (contro l’infezione) nei vaccinati rispetto ai non vaccinati, come trovato dallo studio di Chemaitelly et al. [9] (abbiamo mostrato i valori in una precedente tabella tratta dall’articolo in questione). L’asse orizzontale mostra i 9 mesi di durata del Green Pass. Come si vede, i vaccinati sono meno infettivi dei vaccinati solo per 4 mesi e mezzo (parte più chiara del grafico), mentre per la restante metà della validità del Green Pass i vaccinati infettano più (o almeno quanto) i non vaccinati, come mostrato dalla parte più scura del grafico. I dati relativi ai mesi 8 e 9 sono soltanto una estrapolazione ottimistica, poiché quei mesi non sono analizzati dallo studio. (fonte: elaborazione dell’Autore su dati di [9])
Le conseguenze di questa situazione sono notevoli e largamente ignorate dai decisori politici e sanitari. Infatti, per metà dei nove mesi della durata del Green Pass, il vaccinato è – dal punto di vista infettivo e della trasmissione – indistinguibile da un non vaccinato. Quindi, per 4,5 mesi su 9, il virus ha la possibilità di circolare liberamente fra i vaccinati. Dunque, è un falso problema quello dei non vaccinati, che in Italia oggi costituiscono meno del 25% della popolazione (ma di questi molti sono bambini e giovani, cioè persone con un rapporto rischi-benefici sfavorevole, come mostrato ormai da numerose analisi [12]).
Dato che tutti i vaccinati per metà del tempo di durata del Green Pass sono infettabili e trasmissivi come i vaccinati, possiamo dire che, a partire da un certo numero di mesi dalla fine (del clou) della campagna vaccinazione, almeno un vaccinato su due è indistinguibile da un non vaccinato agli effetti del contenimento del contagio, cioè della circolazione del virus; dopo un altro po’ di tempo questo succederà a 2 vaccinati su 3, e così via. Ciò è inevitabile per la enorme differenza fra la durata della protezione del vaccino dall’infezione e la durata del Green Pass.
Quindi, a partire da un certo mese in poi, una parte crescente di quel 75% della popolazione italiana che è vaccinato con doppia dose sarà equivalente a dei non vaccinati. Tuttavia, a causa del ritardo italiano nella somministrazione della terza dose, almeno la metà dei vaccinati (in realtà, anche di più) diventeranno equivalenti a dei non vaccinati prima di ricevere la terza dose (se mai vorranno farsela). Ciò vuol dire che, per un certo periodo di tempo, almeno il 37-38% della popolazione italiana pur essendo vaccinato potrà contagiarsi e trasmettere il SARS-CoV-2 almeno quanto un non vaccinato. Si tratta, quindi, di una “fetta” di popolazione molto più grande e “pericolosa” dei non vaccinati, che sono soltanto il 25%.
Ecco come si presenterà, verosimilmente, la situazione in Italia fra qualche tempo a causa del ritardo nella somministrazione della terza dose. I non vaccinati saranno a quel punto ben meno numerosi dei vaccinati “trasmissivi quanto i non vaccinati” per il decadimento della protezione dal 5° mese dopo la seconda dose.
Se a tutto ciò si somma l’ampia disponibilità sul dark web (e probabilmente pure su alcuni social) di Green Pass falsi acquistabili con una spesa assai minore rispetto a quella di un mese di tamponi, nonché l’ormai pressoché totale assenza di controlli (come documentato ad es. nella puntata di Zona Bianca del 17 novembre), è evidente che il Green Pass all’italiana è di fatto “defunto”. Oltre ad essere controproducente per le ragioni fin qui viste: non spinge di più a vaccinarsi (semmai fa l’opposto) e non garantisce affatto che chi lo possiede perché vaccinato non sia contagioso.
Che l’efficacia dei vaccini calava drasticamente dopo pochi mesi si sapeva già da giugno-luglio, dalle esperienze in Israele e nel Regno Unito. Solo che a dirlo qui in Italia si passava per no-vax, perché allora c’era da “vendere” i vaccini e giustificare il Green Pass. Ora che i nuovi dati collocano la durata temporale della protezione dalle infezioni da SARS-CoV-2 in appena 4 mesi e mezzo, che è la metà della durata prossima ventura del Green Pass, il problema dell’aver mentito – o quanto meno nascosto agli Italiani la verità – sta per esplodere in tutta la sua drammaticità, come avrete capito.
Naturalmente, dato che le persone non si sono vaccinate tutte insieme ma lungo un arco di parecchi mesi, il numero di vaccinati “trasmissivi quanto i non vaccinati (o più)” cresce nel tempo, per cui all’inizio uguaglia il numero dei non vaccinati e poi lo supera, fino ad arrivare a ben oltre metà della popolazione vaccinata, ovvero oltre il 75 : 2 = 37,5% della popolazione italiana. Dunque, come ha evidenziato Luca Ricolfi in un recente articolo [13], si sta creando una cosiddetta e pericolosissima “illusione vaccinale”, cioè ci si sta illudendo che basti vaccinare qualche non vaccinato in più per stare tutti più sicuri.
Il fatto che tutto ciò sia realtà, e non fantasia, lo possiamo vedere molto bene a Waterford [14], una città del sud-est dell’Irlanda, dove il 99,5% degli adulti over 18 è vaccinato completamente (cioè con doppia dose), percentuale che corrisponde ad aver vaccinato il 96,6% degli over 12 (ricordo che i bambini contribuiscono meno degli adulti alla circolazione del virus, come emerge dalla letteratura) e il 92% dell’intera popolazione della città (indipendentemente dall’età). Ebbene, nonostante un così alto tasso di vaccinazione, questa città ha uno dei più elevati tassi di nuovi casi di Covid-19 (incidenza a 14 giorni di 1.481 casi per 100.000) non dell’Irlanda, ma del mondo intero!
Insomma, il Green Pass non raggiunge l’obbiettivo per cui è stato introdotto. E in più i non vaccinati vengono ghettizzati, umiliati, spinti alla miseria, forse in qualche caso perfino al suicidio, e finiscono sul rogo come le streghe senza nessuna colpa.
Riferimenti bibliografici
[1] Goldberg Y. et al., “Waning Immunity after the BNT162b2 Vaccine in Israel”, The New England Journal of Medicine, 27 ottobre 2021.
[2] “RSS Alberto Donzelli – Intervento integrale 30 ottobre 2021”, YouTube, 5 novembre 2021.
[3] Israel A. et al., “Large-scale study of antibody titer decay following BNT162b2 mRNA vaccine or SARS-CoV-2 infection”, preprint, medRxiv, 22 agosto 2021.
[4] Vitale J. et al., “Assessment of SARS-CoV-2 Reinfection 1 Year After Primary Infection in a Population in Lombardy, Italy”, JAMA, 28 maggio 2021.
[5] Gazit S. et al., “Comparing SARS-CoV-2 natural immunity to vaccine-induced immunity: reinfections versus breakthrough infections”, preprint, medRxiv, 25 agosto 2021.
[6] Menichella M., “I vaccini anti-COVID: perché ci attende un futuro pieno di incognite”, Fondazione David Hume, 10 marzo 2021.
[7] Hunter P.R. & Brainard J., “Estimating the effectiveness of the Pfizer COVID-19 BNT162b2 vaccine after a single dose. A reanalysis of a study of ‘real-world’ vaccination outcomes from Israel”, preprint, medRxiv, 3 febbraio 2021.
[8] Hitchings M.T.D., “Effectiveness of CoronaVac in the setting of high SARS-CoV-2 P.1 variant transmission in Brazil: A test-negative case-control study”, preprint, medRxiv, 7 aprile 2021.
[9] Chemaitelly H. et al., “Waning of BNT162b2 Vaccine Protection against SARS-CoV-2 Infection in Qatar”, The New England Journal of Medicine, 6 ottobre 2021.
[10]Riemersma K., “Vaccinated and unvaccinated individuals have similar viral loads in communities with a high prevalence of the SARS-CoV-2 delta variant”, preprint, medRxiv, 31 luglio 2021.
[11] Acharya C. et al., “No Significant Difference in Viral Load Between Vaccinated and Unvaccinated, Asymptomatic and Symptomatic Groups Infected with SARS-CoV-2 Delta Variant”, preprint, medRxiv, 29 settembre 2021.
[12] Menichella M., “Una stima realistica degli effetti avversi dei vaccini anti-Covid e del rapporto rischi-benefici”, Fondazione David Hume, 9 novembre 2021.
[13 Ricolfi L., “L’illusione vaccinale”, Repubblica, 6 novembre 2021.
[14] Murphy S., “COVID-19: Ireland’s Co Waterford has one of the highest vaccination rates in the world – so why are cases surging?”, news.sky.com, 6 novembre 2021.
[15] Becchi P., Trevisan N., Zibordi G., “Stop Vax”, byoblu, 2021.