L'inattuale

“Partigiani di Dio”, chi sono davvero gli Houthi

© Yauhen Akulich e SteveAllenPhoto tramite Canva.com

Nello Yemen si contano più o meno tre armi da fuoco per ogni abitante. In genere sono kalashnikov vecchiotti. In questa terra martoriata dove la guerra civile è parte di quell’Inverno arabo che si contrappone, con maggiore drammaticità, alle velleitarie primavere, uccidersi in nome di un’eresia è ormai una tragica consuetudine. I ribelli Houthi traggono il loro nome dal fondatore Ahmad al Houthi e si definiscono “partigiani di Dio” rivendicando il primato di una fede sciita sulla sunna corrotta e filoamericana del regime che controllava lo Yemen.

Essi si ispirano alla teocrazia di Teheran e condividono il disgusto iranico verso tutte le penetrazioni occidentali in terra musulmana. Ad ogni raduno essi urlano “morte a Israele”, “maledetti siano gli ebrei” e fanno vibrare in aria i colpi del loro scalcinati kalashnikov. I recenti attacchi contro le navi mercantili dei paesi che supportano Israele non sono che la materializzazione di un odio anti-ebraico che ormai arde soprattutto nello sciismo. La propaganda iraniana sostiene da tempo, nella sua lotta per la supremazia sul mondo islamico, la collusione tra le petromonarchie saudite aderenti al salafismo e lo Stato Ebraico con annessi Usa naturalmente.

Così come Hezbollah minaccia i confini di Israele, gli houthi combattono al confine con l’Arabia Saudita, ed esattamente come gli estremisti di Beirut hanno acquisito il controllo della capitale dello Yemen, Sana’a. Quello stesso confine simboleggia la frattura tra le due anime del mondo arabo: sunnismo e sciismo. Anime in guerra perenne da cui derivano la maggior parte dei massacri che negli ultimi decenni hanno insanguinato il Levante.

Di nuovo, è all’interno del mondo musulmano che occorre cercare se si vogliono comprendere le ragioni di quanto accade nel Mar Rosso. Lo stretto di Bab el- Mandeb, da cui si accede per poi risalire verso il canale di Suez, si trova tra lo Yemen e Gibuti, stato africano ex colonia francese, sunnita, ora membro della Lega araba. In queste acque i pirati sciiti attaccano i convogli commerciali destinati all’occidente. Questa è inoltre una delle più importanti rotte petrolifere del mondo su cui le petromonarchie saudite e del Golfo sognano di ristabilire il loro antico controllo.

La guerra, prima che contro di noi, è tutta interna al mondo arabo. L’eterna lotta per la supremazia del culto si combatte mostrandosi più o meno estremisti nei confronti dell’occidente e, dunque, della causa ebraica. Fin quando Riad e Teheran useranno Israele e il mondo occidentale tutto come terreno di combattimento continueranno a riversare il reciproco fondamentalismo contro ciò che resta dell’Occidente, per rivendicare un primato di purezza contro l’eresia. L’odio verso Israele è una potente arma che l’Iran usa per sobillare i suoi protetti nel mondo arabo. La crisi del commercio via mare ne è solo una conseguenza.

Francesco Teodori, 1° febbraio 2024