Patrick Zaki senti qui: impara da Cecilia Sala

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Sala zaki

Ma si può essere contemporaneamente sollevati e disillusi? Tutto è bene quel che finisce bene, il blitzkrieg di Giorgia Meloni chez Trump ha funzionato e alla svelta, lei era l’unica che poteva farlo (abbiamo, purtroppo, una lunga tradizione di ministri degli Esteri alle volte coreografici, basti pensare a Mogherini e Di Maio), e nessuno può contestare che la premier sia particolarmente abile nel riportare a casa chi sta in fondo al baratro, da Chico Forti a Cecilia Sala; il riscatto certo non sarà a costo zero, tutt’altro, e non si tratta solo di piccioli, ma limitiamoci, per ora, a considerare gli aspetti positivi.

Temendo la inevitabile sanremizzazione della giovane, telegenica podcaster, lei di sinistra, a scrivere su giornali progressisti, il padre amico di Tajani, la famiglia con un certo peso, non certo una nessuno come, tanto per dire, per ricordare, Christian Provvisionato, la cui madre, Doina, dovette fare tutto da sola, con un piccolo aiuto dai Servizi, per riabbracciare il figlio detenuto 21 mesi in Mauritania con false accuse di intrighi: anche allora c’era di mezzo la tecnologia spionistica, del controllo, ma quello era un Nessuno messo in mezzo al posto di altri, e nessuno ti giuro nessuno se lo filò; men che meno l’informazione certificata, ad eccezione, pensate un po’, di Fiorello e Magalli, che informazione proprio non erano.

Stiamo dicendo che la faccenda, come sempre, più di sempre, è mediatica, è spettacolare quanto e più che politica, geostrategica. La grande adunata all’aeroporto di “Sciampino” (ma perché nei tiggì statali, ministeriali romani non costringono con minacce anche brutali tutti gli speaker a un corso de dizzione?), la corza di Scesciglia verso il fidanzato, che a me, vecchia carogna, mi suonavano in testa gli scion scion di Morricone, la sanremizzazione già partita, e non ci stupiremo se vedremo la giovane gradevole giornalista all’Ariston fra pochi giorni. Di sicuro le trattative, ancora una volta, sono in corso, fidatevi. È la spettacolarizzazione, bellezza, croce e delizia delle umane faccende: la madre era subito partita male, le hanno fatto capire che era meglio si astenesse da vacue dichiarazioni più o meno carpite dalle jene dattilografe (chi lo disse?), e lì abbiamo capito che si era a una svolta: probabilmente, la liberano.

L’hanno liberata, nel santo silenzio di chi opera. Evviva, e, tornando alle cose positive, va dato atto ai parenti tutti di mantenere, per il momento almeno (non ci illudiamo sul prosieguo) un contegno dignitoso, misurato nella riconoscenza: dal compagno di Cecilia ai genitori, un sobrio riconoscimento alle istituzioni, un ringraziamento quasi impacciato alla Meloni, meritoria, torniamo a ripeterlo perché è giusto; fra i risvolti graditi, anche lo scoppiar di fegati delle opposizioni flap flap, gente che chiacchiera, che si guarda allo specchio e, dal basso del suo 1% finisce a litigare con se stessa. Che goduria!

Ma tutto a questo mondo è mediatico, autopubblicitario e non poteva mancare il Patrick Zaki, sedicente attivista dei diritti umani, qualifica che si è appuntato da solo. Ma sì, ricordate, lo Zaki che languiva, marciva nel carcere egizio e appena liberato, sempre grazie a Giorgia, ha rifiutato l’aereo di Stato, ha rifiutato di incontrarla, stava alla larga, perché cura i diritti umani, lui, quasi a dire che quella che l’aveva recuperato, di diritti pochi e di umanità ancora meno. Un abisso rispetto al caso Sala. Ma a legarli resta piaccia o non piaccia la propensione mediatica, la sovraesposizione subita o cercata: Patty se la cerca di default e figuriamoci se poteva lasciarsela sfuggire per l’occasione. Forse gelosetto, si lascia languidamente intervistare dal Corriere della Sera, che non ha di meglio da fare, da interpellare (ma sono situazioni concordate col partito, ti conosco mascherina), e, ovviamente, si mette al posto della ex prigioniera; sentite che roba: “Il sorriso che ha mostrato appena arrivata a Roma lo conosco bene. Bentornata Cecilia, bentornata dalla tua famiglia, dai tuoi cari, nel tuo Paese. Quando si esce da una esperienza simile, ricordo la sensazione di uccellino libero, ma ancora segnato. Bisogna di nuovo imparare a volare in libertà. (sic). Si vive in un vortice, difficile da comprendere nei primi giorni, anzi, mesi. Poi, ci si trova a doversi fermare un attimo e pensare… Perché ciò che ha vissuto rimarrà probabilmente per sempre dentro di lei, un po’ come un tatuaggio. E poi, vorrei farle anche un altro augurio: quello di trovare nuovi modi per adattarsi e convivere con questa terribile esperienza, ingiusta… Il tempo, in prigione, non si conta in giorni o settimane, ma in secondi. Ogni secondo sembra un anno. Il sorriso che ha mostrato appena arrivata a Roma penso di conoscerlo bene: è un sorriso per rassicurare tutti che si sta bene e che si è forte. Questo è importante, ma dietro quel sorriso ci sono sicuramente molte cicatrici lasciate dalla prigionia. Ogni prigioniero ha una storia unica e le esperienze non sono mai le stesse per tutti…”.

Sì, amo capito, Zak. Ci sei tu, tu, tu, poi Ceci, poi ancora tu (ma non dovevamo sentirci più?). Siamo alla banalizzazione fumettistica a metà fra Zerocalcare e Ilaria Salis, che peraltro già si era espressa, nella sua incomparabile, inconfondibile profondezza. Cosa stride nelle memorie formato manga di Patty Zak? Tutto, ma in particolare l’allergia, oggi come ieri, più di ieri, alla Meloni, della quale non ce la fa proprio a riconoscere il ruolo, il merito. Ricordate Fonzie (non Renzi, quello vero) che non riusciva a dire “ho sbagliato”, gli si intorcinava la lingua? Se questo è un attivista. Sì, lo è. Per i diritti umani suoi, personalissimi come il cartellino del leggendario Rino Tommasi. Tutto è autopromozione a questo mondo, in questo tempo. E adesso rassegniamoci a pregare, senza alcuna fede, che non segua la inesorabile sanremizzazione di questa ragazza libera ma non dai suoi traumi, che non passi da una gabbia lugubre, ovattata di mostri, a un’altra, rutilante, clamorosa, ma sempre gabbia.

Max Del Papa, 9 gennaio 2025

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