L’autonomia all’italiana minaccia di essere la solita faccenda all’italiana, di facciata, con una parte della maggioranza che spinge e un’altra che smorza e dice “tranquilli voi del Sud che i soldi ve li facciamo avere lo stesso e per voi non cambia niente”, quanto a dire l’eterno sovvenzionalismo clientelare senza il quale mezzo Paese si rivolta, torna al brigantaggio, alla bande armate come la politica ostaggio sa benissimo.
Ma Repubblica ha per ultima missione rimasta quella di cavalcare il terrore, sia sanitario, climatico o istituzionale, ed ogni mezzo è buono. Ieri nella posta di uno di questi che, piacendosi molto, si mettono in posa, questo Francesco Merlo, esce un botta e risposta dadaista, vanno a scomodare perfino Laura Pausini per boicottare l’orrenda riforma. Con una canzoncina melensa di vent’anni fa che dice più o meno: “Mi affascina l’autonomia, la prospettiva che ieri non era mia, anche se a volte il bisogno c’è non voglio sapere più niente di te”. Da questi versi Harmony, tale Luisa Dottorini, che senz’altro è vera, esiste, magari pensa, certamente milita, conclude che “Manca solo viva la Padania Libera”. Merlo, che si posa e si piace, chiosa ricordando quella volta che (alla tv spagnola) Pausini rifiutò di cantare Bella Ciao (“Guapa Hola”?) perché, senza dirlo, pendeva da quella parte là: difatti adesso viene fuori la conferma, “propone queste vecchie strofe d’amore per l’Autonomia come inno per Salvini e Calderoli”.
Come no: tutto torna. Con sillogismi del genere, chi ha bisogno di una logica? Aristotele scansati, che arriva Merlo. Ci sarebbe da battere la testa contro il muro, ma forse non vale la pena. Davvero riescono a dire questo? A pensarlo no, è escluso, ma come fanno a trovare la faccia per scriverlo? L’autonomia leghista da una canzoncina sentimentale per ragazzine di vent’anni fa? Bisogna far pagare alla cantora di “Marco se n’è andato non ritorna più” l’antico sgarro resistenziale? Ma allora come non concludere che nel grido addolorato de La solitudine stia tutta l’emarginazione del Sud vessato e oppresso dagli industriali nordisti dall’inizio del Novecento fino alle menate di Salvini e Calderoli? Anche quella lirica, “il treno delle sette e trenta senza lui”, volendo, non potrebbe essere interpretato come un messaggio polemico verso il ministro dei Trasporti che, a proposito degli incombenti ritardi dei Frecciarossa, “vuole vederci chiaro”?
Andiamo, non puoi fare sul serio. Ma è Repubblica, non dimentichiamolo. Quella che esalta a pendolo, oggi tocca alle ugole “nera e gay nigeriana”, ai rapper col core in mano e il mitra in spalla, tutto pur di difendere l’Unità d’Italia, l’Italia inclusiva. Vabbè. Chiosa Merlo, uno che più si guarda e più si piace e più si posa, chiosa in modo irresistibile, “non so chi ha detto che ci sono due modi per stare né a destra né a sinistra, quello di destra e quello di sinistra”. Il suo qual è? In caso, visto che non sa, chiedesse schiarimenti ai compositori di estrema sinistra che vigliacco se ne trovi uno disposto ad ammetterlo: tutti a svicolare, a sottrarsi, Guccini una volta trovò modo di dire che lui, comunista, mai, al massimo socialista (craxiano, magari), l’eskimo non gli piaceva neanche; allora che ci faceva tutte le sere in eskimo all’osteria a cantare l’Internazionale e gli altri inni rivoluzionari?
Tutti oltre, al di sopra, tutti, anche l’anarchico intoccabile De Andrè, il latifondista padrone di mezza Sardegna e mezza Liguria, anche il Venditti del “dolce Enrico”, Berlinguer, who else?, che da 40 anni ci sfrantuma l’apparato riproduttivo con la sua maturità da liceo romano ove si riproducono i figli dei ricchi e dei politici, anche l’indiscutibile Gaber il milanese di “cos’è la destra cos’è la sinistra”, salvo specificare che lui era geneticamente, costituzionalmente non di destra, contro la destra, salva la moglie di Forza Italia, tutti, sempre: io? Chi? Chi ha parlato? Tutti a cascare dalle nubi, ma che destra e sinistra, noi siamo patrimonio dell’umanità (e del mercato). Tutti, da Giovanni Marini, dai Modena City Ramblers, dagli Inti Illimani, da Manu Chao in poi.
Eh, però questa Pausini qua, questa è stronza forte eh, questa va epurata, le va fatto il processetto in contumacia: è una collaborazionista, fingeva di cantare di amorazzi adolescenziali, in realtà tirava la volata al secessionismo. Ilaria Salis, pensaci tu. A mantenere l’Italia unita, sia chiaro, non capite sempre male. Perché su IlALer Salis, Repubblica non ha dubbi: lei sì coerente, antifascista, illegale ma come rivoluzionaria, legalitari sì ma non esageriamo, la legge siamo noi, anche la storia siamo noi, nessuno si senta escluso, come canta il compagno De Gregori che ultimamente, essendo anche lui sopra le vetuste categorie politiche novecentesche, ha ceduto i diritti alla multinazionale dell’energia.
Ditemi voi a che punto, e se poi c’è da stupirsi se Repubblica ormai è avviata a vendere meno di un condominio. Il lettore se n’è andato non ritorna più. Ma questo ai (bravi) Merli di Repubblica e a quelle che gli scrivono, accorate, preoccupate, evidentemente non crea problemi: loro si piacciono, si ascoltano, si posano, si bastano tanto…
Max Del Papa, 24 giugno 2024
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