“Un meccanismo incostituzionale che genererà conseguenze devastanti per aziende e cittadini”. È questo l’allarme lanciato da ab medica, società specializzata nell’innovazione sanitaria (in particolare, nella distribuzione di telemedicina e chirurgia robotica) dinanzi alla situazione esplosiva creata dal cosiddetto payback sanitario, lo strumento usufruibile in relazione alla produzione di dispositivi medici, che restituisce – da parte delle aziende del comparto – un importo pari al 50 per cento delle spese in eccesso effettuate dalle regioni.
Payback sanitario
La sua origine risale al 2011, quando il governo introdusse un tetto di spesa pubblica in relazione alla costruzione di tali dispositivi. Una disciplina poi revisionata nel 2015, quando Palazzo Chigi specificò che, nel caso in cui le regioni avessero sforato il budget, a rimetterci sarebbero state le aziende fornitrici, pagando di tasca propria una parte dell’importo.
Una vera e propria beffa, che però non finisce qui. Il provvedimento, infatti, è rimasto inattuato fino al 2022, quando il decreto Aiuti-bis del governo Draghi ha previsto il ripiano degli sforamenti del tetto di spesa per i dispositivi medici, specificatamente nel quadriennio 2015-2018, pari complessivamente a 2,2 miliardi di euro. A dicembre 2022, le singole Regioni hanno emanato i provvedimenti atti a definire l’importo da versare per ogni azienda. Un’azione che ha portato le 1800 aziende a far valere le proprie ragioni dinanzi al Tar, con l’obiettivo di chiedere l’annullamento del provvedimento.
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I danni per le aziende
In caso di via libera, però, il danno che soffrirebbero le imprese del settore sarebbe esponenziale. In tale ambito, dallo Studio Nomisma L’impatto del payback sulle imprese della filiera dei dispositivi medici, commissionato da PMI Sanità e da FIFO Sanità Confcommercio, se ne deduce un vero e proprio crac: l’allarme concreto è che possano saltare circa 4.000 aziende, fino a sfiorare il licenziamento di 200mila lavoratori.
Cifre a dir poco drammatiche, se prendiamo in considerazione anche il fatto che si tratta delle medesime imprese già impegnate nel versamento di imposte per 3,8 miliardi di euro, nei quattro anni dalla richiesta di ripiano, ai quali si affiancherebbe anche la quota di payback, pari a 704 milioni di euro. Una situazione insostenibile, soprattutto per le piccole e medie imprese, che come ribadisce il comunicato “sarebbero chiamate a versare un importo pari a oltre 1/3 dei margini lordi e oltre il 60% degli utili prodotti nell’ultimo esercizio”.
Nonostante tutto, l’esecutivo di Giorgia Meloni è già sceso in campo per trovare una soluzione condivisa con le aziende del settore. Palazzo Chigi, infatti, sarebbe disponibile a far fronte alla metà del costo complessivo (pari a circa 1,1 miliardi di euro), a condizione che le società ritirino il ricorso su cui il Tar competente dovrà pronunciarsi. Uno scenario molto difficile, se non impossibile, come ci ha ribadito una fonte di ab medica, vista la ferma richiesta delle aziende per un “intervento risolutivo dell’esecutivo che cancelli completamente le richieste alle Aziende fornitrici di pagamento retroattivo per il periodo 2015 – 2018”.
Insomma, come ribadito ai nostri microfoni anche dalla Ceo di ab medica, Francesca Cerruti, saremmo dinanzi all’affossamento di un settore centrale per il tessuto imprenditoriale italiano, che supera i 17 miliardi di euro tra mercato interno ed export. Ma ora, è tutto nelle mani del Tar e le aziende non sembrano intenzionate a fermarsi.
Matteo Milanesi, 17 giugno 2023