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Pazza idea di Meloni: tornare al voto

La premier starebbe pensando di accorpare il voto regionale con le politiche. Una mossa per rafforzarsi

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La pazza idea: votare prima per durare di più. Al Liberation Day di Trump, Meloni potrebbe rispondere con un Election Day. Mentre dagli Stati Uniti il tycoon fa tremare il mondo a colpi di dazi, in Italia c’è chi studia una mossa che intreccia logica istituzionale e calcolo elettorale: accorpare le regionali dell’autunno 2025 con eventuali politiche anticipate, da tenersi entro la primavera del 2026. Senza però toccare la legge elettorale, riforma alla quale sia Meloni sia Schlein sono contrarie.

In avanscoperta è andato Matteo Piantedosi. Il ministro dell’Interno, gradito al Colle, ha avanzato la proposta di votare in Veneto nella primavera del 2026. E chissà se anche altri governatori a fine corsa – De Luca, Fontana e Fedriga – non trovino comodo un supplemento di potere, forse per alcuni utile a ritagliarsi un futuro da senatore o, come Zaia, per presenziare ai Giochi Olimpici di Milano-Cortina di febbraio. Mentre lo scenario internazionale vira verso l’Armageddon economico, le forze politiche italiane si  smarcano, si annusano e si riformano in alleanze che sembrano ossimori: a Bruxelles Forza Italia vota col Pd in difesa dell’Europa di Ursula; in Italia ritorna l’improbabile coppia Salvini-Conte in versione anti-Ue.

Il Capitano e Giuseppi né sovranisti, né pacifisti, ma solo opportunisti, cavalcano il malcontento popolare con argomenti “acchiappalike” ed hanno una strategia di opposizione a priori contro la linea “responsabile” incarnata da Meloni e dal Pd. Peggio persino di Carlo Calenda, che continua a cercare un’identità – senza trovarla – sin da bambino. A Giorgia non resta che fare sempre più sponda con Forza Italia e Tajani che, imitando il primo Berlusconi, sta facendo un ottimo scouting tra i grand commis di Stato per rendere più “smart” le liste elettorali, come vuole la dinastia di Arcore.

Visto l’andazzo, la premier dovrà mettere da parte il sogno di far diventare il suo governo il più longevo della Repubblica – per superare Berlusconi II (2001–2005), servirebbero 1.412 giorni in carica. Votando nel 2026, si fermerebbe a poco più di 1.200, sarebbe medaglia d’argento o di bronzo – ma non è mica da questi particolari che si giudica un governo: lo si misura sui risultati, più che su una classifica da bar dello sport. Un compromesso – visto il consenso di cui ancora gode nella Nazione – che le converrebbe accettare, se l’obiettivo successivo dovesse diventare il Quirinale del 2029, la reggia più ambita d’Europa, dove può tanto incidere e nel contempo finalmente restare più vicino a sua figlia dopo questi anni di fuoco.

Quanto alla segretaria del Pd, ossessionata dall’idea di non avere nessuno alla sua sinistra, rischia di trasformare l’ultimo partito non personale, strutturato ed organizzato sul territorio, in un banale movimento, solo per fare concorrenza a Conte. Un errore che potrebbe esserle politicamente letale. Vero è che, per molti versi, in politica l’Italia assomiglia alla Germania, ma il Pd non è ancora il Pse e nemmeno Forza Italia è la Cdu. Di questo scenario in movimento Meloni e Mattarella sono perfettamente consapevoli. E i rispettivi sherpa sono già al lavoro. Per l’appunto, proprio in queste ore, l’idea di un Election Day sta guadagnando consensi.

Mai come ora i “2M” si compensano: il Presidente della Repubblica nel ruolo di “poliziotto cattivo”, baluardo di un’Europa severa contro il blocco Trump-Musk; la premier nei panni della “poliziotta buona”, che cerca caparbiamente un dialogo con Washington dove forse andrà a brevissimo per recuperare anche ‘punti’ rispetto a Londra, Parigi e Berlino. Meloni sa che Mattarella è una risorsa: rassicura i mercati, Bruxelles, gli alleati. Anche Mattarella sa che, pur con tutte le divergenze, la premier non ha mai messo in discussione l’architettura costituzionale. Anzi, ne ha rispettato pesi e contrappesi. Lontani i tempi – era il 2018 – in cui Meloni e Di Maio chiedevano l’impeachment del capo dello Stato per il veto su Paolo Savona all’Economia.

Il paradosso è che, proprio mentre si torna a parlare di presidenzialismo, il Quirinale esercita una funzione sempre più centrale: non governa, ma influenza; non dirige, ma orienta. E, in una politica italiana orfana di visione, il Presidente della Repubblica resta l’unico vero punto fermo. Tornando alle elezioni, nelle more di un pronunciamento della Consulta, sono sei le regioni al voto nel 2025: Campania, Veneto, Toscana, Puglia, Marche e Valle d’Aosta. Regioni cruciali. Cinque di queste oggi governate dal centrosinistra o da esponenti civici ben radicati sul territorio. Ecco dunque la strategia: far slittare di qualche mese le regionali per accorparle ad un eventuale scioglimento anticipato delle Camere. Una mossa che consentirebbe a Meloni di giocare d’anticipo, prima che l’erosione del consenso – per la prima volta in questi giorni FdI è sotto il 29% nei sondaggi – si faccia sentire troppo.

In tutto ciò, aleggia un’altra ombra: la gravissima lentezza dei lavori del Pnrr. Il governo italiano non vorrebbe chiedere a Bruxelles un’estensione dei tempi di attuazione dei progetti. Ma se l’estensione o la soluzione di incanalare le risorse non spese in fondi come ha già fatto la Spagna e sulla quale il ministro Foti sta intelligentemente ragionando, arrivasse fino alla fine del 2026, anche la bomba Pnrr verrebbe disinnescata – peraltro, con la possibilità che tutti i vincoli europei di bilancio saltino, in seguito al ciclone Trump che rischia di squassare i mercati europei per molto tempo ancora.

La Grecia docet: quando un Paese entra in clima pre-elettorale, le speculazioni si fermano, in attesa di nuovi equilibri. Per Meloni, alle prese con provvedimenti bloccati, ministri sempre più imbarazzanti e una magistratura in assetto di guerra sarebbe ben più di una ciambella di salvataggio. Al 2027, scadenza naturale della legislatura, questa maggioranza rischia di arrivare con le gomme sgonfie. E allora tanto vale una mossa audace, anche se rischiosa, in perfetto stile Meloni: quando tutti pensano che resterà ferma, lei muove la regina. Pazza idea? Forse. Ma in politica, spesso, sono le pazze idee a funzionare davvero. E da quando ha fondato Fratelli d’Italia non ne ha sbagliata una.

Luigi Bisignani per Il Tempo 6 aprile 2025

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