Vi ricordate come i giornali mainstream presentavano le divisioni del centrodestra, dopo la formazione del governo Draghi e, più recentemente, dopo la sconfitta alle elezioni amministrative di fine giugno? Si parlava di divisioni inconciliabili – con un velato godimento da parte di chi ha sempre avuto l’elmetto piddino – fino ad arrivare alla “resa dei conti della destra”, così come intitolò La Repubblica solo due settimane fa.
A distanza di pochi giorni, potremmo rovesciare il titolo e affibbiarlo alla sinistra italiana: è caos totale tra Pd, M5S e tutti gli altri partiti a trazione riformista. Insomma, se la destra presenta ancora strascichi di divisioni ed incertezze – soprattutto nell’area di Fi, dove nelle ultime ore hanno lasciato il partito Gelmini, Brunetta e Carfagna – ecco che il progressismo di casa nostra deve risolvere una situazione interna incandescente, ben più radioattiva di quella del fronte opposto.
Il caos della sinistra
Il concetto fondamentale è che nessun partito vuole stringere alleanza con nessuno, fatta eccezione Speranza e Di Maio. Il primo, dal lato del suo due per cento, rimprovera i pentastellati per aver scatenato la crisi di governo, ma ricorda come il vero avversario rimanga il centrodestra. Il secondo, invece, è l’unico a proporre sul tavolo una larga coalizione, da Pd a Calenda, per poi passare a Articolo Uno e Renzi, con cui presentarsi alle elezioni del 25 settembre. L’idea del grande calderone, però, non convince affatto né Azione, né Italia Viva. E neanche il ministro della Difesa, il democratico Lorenzo Guerini, ne vuole sapere: “Chi ha fatto cadere Draghi non può essere alleato del Pd”.
Insomma, si prospetta una sinistra divisa in mille pezzi, sfasciata dalle sue diatribe interne, lacerata a tal punto da presentare la destra come una coalizione solidissima. Conte si presenterà autonomamente col suo 10,8 per cento e garantisce: “No alla politica dei due forni“. In queste ore, sto leggendo diverse dichiarazioni arroganti da parte del Pd”. Letta, al contrario, rappresenta l’unico movimento in gioco per contendersi le scettro di prima forza, insieme a Giorgia Meloni, attualmente avanti di quasi un punto percentuale. Anche nella remota, se non impossibile, ipotesi in cui l’area progressista dovesse ricompattarsi entro il 25 settembre, ecco che il centrodestra potrà godere di un vantaggio netto, sicuro, indiscutibile: 46 per cento contro il 34 del fronte opposto. Cifre che assicurerebbero Palazzo Chigi a Fratelli d’Italia ed alleati – salvo suicidi casalinghi, come avvenuto poche settimane fa alle elezioni di Verona – a distanza di undici anni dall’ultimo esecutivo non di sinistra.
Botta e risposta tra Conte e Letta
Nel pomeriggio di oggi, tra i due leader della capitolata coalizione, Letta e Conte appunto, è andato in onda un diverbio via social. Dopo la pubblicazione, sulla pagina Facebook del segretario dem, di una foto rappresentante Draghi e l’hashtag #ItaliaTradita, non si è fatta attendere la risposta del leader pentastellato: “È vero, Enrico. L’Italia è stata tradita quando in Aula il premier e il centrodestra, anziché cogliere l’occasione per approfondire l’agenda sociale presentata dal MoVimento 5 Stelle, l’hanno respinta umiliando tutti gli italiani che attendono risposte”. È ormai faida pura, rottura totale, l’ennesimo sfasciamento contiano, dopo le diatribe che hanno portato all’abbandono di Di Maio. Ora, il partito di Beppe Grillo è solo, isolato, che non può più contare sul solido trenta per cento di quattro anni fa, ma su uno striminzito dieci – magari anche meno.
Rimane, però, un ultimo trampolino che potrebbe “salvare il salvabile”, nell’area dem e pentastellata: la figura di Mario Draghi. Le affermazioni del ministro della Cultura, Dario Franceschini, insieme alle parole di qualche ora fa di Luigi Di Maio, vanno in una chiara direzione: “Serve un’alleanza nel nome di chi sosteneva Draghi”. Ed ecco che la maschera è caduta: il programma di centrosinistra sarà composto dai diciassette mesi draghiani, da restrizioni, RdC, salario minimo, sostegno incondizionato all’Ucraina. Eppure, il ministro assicura: “Il premier non è nel progetto. Non lo tireremo per la giacchetta”. Ma l’idea di una sua guida a sinistra, soprattutto dopo il discorso filo-piddino di mercoledì alle Camere, sembra stuzzicare molti esponenti dell’area.
Matteo Milanesi, 23 luglio 2022