Addio O Rei

Pelé, poesia e romanzo: leggenda vera, in un calcio di figurine

O Rei è morto a 82 anni. È stato il prima e il dopo del calcio, luce nella nebbia di questo sport

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Pasolini scrisse che per gli europei il calcio è romanzo, per i sudamericani è poesia. Pelé era poesia e romanzo assieme, ha scritto la storia del football, l’ha vissuta come nessuno prima, nessuno dopo, il gioco infantile e inutile di un duello tra lui e Maradona appartiene a chi vive a distanza questo meraviglioso gioco.

Pelé è stato il prima e il dopo del calcio, dunque non Maradona, non Puskas, non Di Stefano, non Messi, non Cristiano, non Ronaldo brasiliano, nemmeno Van Basten o Platini. In principio c’era Lui, il carnevale del pallone, dopo soltanto coriandoli bagnati, segni malinconici di feste paesane. Pelé ha portato il Brasile nel mondo, Pelé ha portato il soccer a New York, ha vinto tre mondiali, ha scelto di vivere e giocare nel suo Pese, la maglia bianca del Santos sulla sua pelle di puma, le cosce ipertrofiche su un busto feroce, muscoli di seta e istinto felino, maestosa la sua elevazione nel gol all’Italia, Mexico70, Tarcisio Burgnich si inerpica nell’aria dell’Azteca ma sopra di lui stacca il Re e batte Albertosi con un colpo di testa che è un colpo di frusta.

Unico, irripetibile, leggenda vera e non televisiva, un privilegio per noi che abbiamo vissuto l’epoca migliore di qualunque sport, Marcellus Cassius Clay e Mennea, Thoeni e Tomba, Mercks e Pantani, Paolo Rossi e Tardelli, Maradona e Di Stefano, Spitz e Pellegrini ma prima di tutti, sopra tutti e tutto c’è stato Pelé, quattro lettere facili da pronunciare in qualsiasi lingua. I coribanti che raccontano ubriachi il calcio di oggi non sanno, non possono sapere, capire, spiegare. Pelé sfugge da qualsiasi facile narrazione, è luce che corre nella nebbia di un calcio che si trastulla di figurine.

Aveva diciassette anni e i capelli a spazzola quando si presentò al mondo, nella coppa Rimet in Svezia, segnò tre gol alla Francia in semifinale e due agli svedesi nella finale che lo portò in trionfo. Venne poi la storia, venne la leggenda. Tre mondiali come nessun altro, gol mille e più, il suo viso sorridente su una carta di credito e contratti milionari però mai nessuna polemica, nessuna lotta al potere, nessun sigaro castrista, nessuna storia acida eppure tre matrimoni e molti, troppi figli tra vari giacigli.

L’ultimo Pelé è stato sofferenza, un monumento d’oro non può avere crepe ma il suo copro si era lentamente prosciugato, le gambe di marmo erano diventate di sabbia bagnata, però gli occhi erano vivi. L’immortalità non esiste ma Pelé è esistito per dimostrare che il sogno può continuare in eterno. Il mondo lo piange, scrivono i giornali. Credo che in Argentina però accenderanno di nascosto le candele.

Tony Damascelli, 30 dicembre 2022

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