Salviamo il compagno Landini. A differenza del soldato Ryan, il segretario della Cgil non vanta lutti familiari che giustifichino un intervento misericordioso, ma Landini potrebbe tornare utile a qualche parente, più di quanto non lo sia oggi per i lavoratori (sempre meno, a fronte di sempre più pensionati) che rappresenta.
Come ha detto e scritto Giuliano Cazzola, Maurizio Landini – a proposito di pensioni – si è intestato una battaglia “assurda e antistorica” che fa male a lui, al sindacato e ai lavoratori. Lo sguardo fisso sulla pensione gli ha fatto dimenticare un pezzo non trascurabile della sua attività sindacale, che è quello di favorire l’emersione dal lavoro nero, sottopagato, e quindi mal contribuito; che è quello di negoziare e contrattare a livello nazionale, e sempre più a livello territoriale e aziendale; che è quello di chiedere non solo forme di assistenza per chi perde il lavoro – politiche passive – ma soprattutto interventi che possano favorire una maggiore occupazione (per giovani e donne, in primis) – politiche attive – e quindi le migliori condizioni per poter arrivare alla pensione.
Incaponirsi per intestarsi lo scalino o lo scalone “post quota 100” è parso subito assurdo. Più o meno un tic simile e contrario a quello di Matteo Salvini (il suo più che un tic è parso sempre un tik tok) per conquistare qualche migliaio di like in più. Come quando ha provato a cavalcare la tigre dei “no green pass”. Non si era capito e non si è capito dove volesse arrivare con la sua disquisizione da retore dell’Appenino emiliano: o il governo rende obbligatorio il vaccino, oppure non può rendere obbligatorio il green pass. Per poi abbassare il livello della disquisizione logico-filosofica e arrivare alla richiesta di tamponi gratis, con lo slogan: “Non si può pagare per lavorare”.
L’antistorico Landini aggiungeva sibillino: “Nessuna contrarietà del sindacato al green pass nelle aziende, ma niente sanzioni per chi dice no”. Cioè? In pratica ciascuno faccia come gli pare. Un bell’esempio di organizzazione, tanto più di organizzazione sindacale. Al compagno Landini, come a un pugile stordito, è toccato un rivale dall’apparenza lieve, ma dal cazzotto duro (quando vuole), capace di apparire e scomparire dal ring (e dal tavolo di Palazzo Chigi) quando gli pare, senza riguardo per i convenuti. Mario Draghi non manca occasione di invitare lui e gli altri due compari di Cisl e Uil, anche se li fa accomodare con un pugno di mosche in mano.
Lui, il compagno Landini, ha provato a fare la voce grossa prima dell’incontro dedicato a manovra e pensioni, arrivando con una (scortese) minaccia di sciopero generale, prima ancora di conoscere nel dettaglio le proposte del premier. Di fronte al volteggio di Draghi è rimasto privo di interlocutore. La minaccia preventiva di sciopero generale si è trasformata in una protesta da “minimo sindacale”: Cgil, Cisl, Uil avviano un percorso di mobilitazione con assemblee sui posti di lavoro, iniziative e manifestazioni regionali – si legge nella loro comunicazione – “per sostenere le proposte e le piattaforme presentate al governo in questi mesi e nell’incontro del 26 ottobre alla Presidenza del Consiglio” e “per modificare il tal senso la misure previste in legge di stabilità”.
Il pallone del compagno Landini era già sgonfio prima di cominciare a giocare. Elsa Fornero, da brava professoressa, gli ha tirato le orecchie in una lettera aperta pubblicata su La Stampa, invitandolo a studiare meglio il problema, che riguarda soprattutto i giovani, non i pensionandi: “Tra il 2008 e il 2020, all’incirca un giovane (25-34 anni) su sedici è ufficialmente emigrato, e non possiamo stupircene: in Italia è maggiore la precarietà del lavoro e quindi le retribuzioni sono discontinue e piuttosto basse mentre l’incidenza della povertà (specie nelle famiglie con bambini) è più elevata che nelle altre classi di età”. La professoressa Fornero ha concluso la sua ramanzina di buon senso, suggerendo al compagno Landini di guardare al passato della sua organizzazione e a prendere esempio da chi seppe intestarsi battaglie impopolari. Il riferimento era a Luciano Lama e all’accordo sulla “scala mobile”, nel 1975.
C’è chi giura di averlo sentito borbottare: “Facile perdere con Lama; nessuno che oggi abbia il coraggio di rammentare Enrico Berlinguer a Enrico Letta”. Come dire: stagione di nani, quella che ci tocca vivere. Compagni da salvare, come il soldato Ryan.
Antonio Mastrapasqua, 4 novembre 2021