È il “fantastico” mondo del socialismo italiano, quello che però accomuna tutti i partiti presenti in Parlamento, da destra a sinistra. Nessuno escluso. Esatto, è il mondo della settimana lavorativa di quattro giorni – come proposto dall’ex segretario della Cgil, Maurizio Landini – dei contratti che dovranno essere solo a tempo indeterminato, delle pensioni minime come ciliegina sulla torta di un Paese intrinsecamente socialista, come l’Italia.
Ebbene sì, questo mindset riguarda anche l’ultimo provvedimento del governo Meloni, in tema di pensioni, ed il conseguente adeguamento di esse all’inflazione maturata nel corso del 2022. Un adeguamento il cui valore, però, sarà più o meno alto a seconda della somma pensionistica percepita, partendo da un range minimo del 2,17 per cento fino ad arrivare a punte che sfiorano il 7 per cento. Ciò vuol dire che col crescere della pensione la percentuale si riduce progressivamente, permettendo così al governo di risparmiare oltre 2 miliardi di euro nel 2023 e circa 10 miliardi nel triennio. Un intervento osannato da tutti, ma che non ha nulla a che fare con uno Stato minimamente liberale.
Come riportato ottimamente dal quotidiano il Messaggero – di cui sotto riportiamo la tabella pubblicata – sono stati applicati aumenti diversi a seconda della cifra lorda percepita come pensione. Con una somma lorda pari a 2.000 euro, per esempio, l’aumento mensile sarà pari a 100 euro netti, mentre in caso di pensione leggermente più alta – pari a 2.500 lordi – ecco che l’incremento comincerà già a diminuire, stanziandosi a 96 euro netti.
Ma è proprio con il continuo aumento del valore della pensione percepita, che si dimostra come il provvedimento del governo Meloni sia intrinsecamente socialista. Per le somme lorde pari a 3.000 euro, l’aumento mensile sarà pari a 72 euro (ben 28 euro netti in meno rispetto ad una pensione lorda di 2.000 euro), quasi uguale invece a quello di una pensione di 4.000 euro lordi, il cui incremento risulterà essere di 78 euro netti. Insomma, in due parole: equità socialista. Ovvero il tentativo di rendere più ricche le pensioni più basse e più povere le pensioni più alte, raggiungendo un adeguamento delle cifre che incontrerà un punto di incontro livellato verso il basso, fino ad arrivare ad uguali pensioni.
L’intervento del governo di Giorgia Meloni è stato uno dei temi principali della Zuppa di Porro di oggi: “A questo punto, voi mi dovete spiegare per quale motivo al mondo uno si debba mettere a pagare tutti i contributi nella sua vita. Chi ha messo più soldi nel conto pensionistico perché deve essere trattato peggio dallo Stato rispetto a chi non l’ha fatto? Insomma, questa cosa mi fa impazzire, ma capisco che la mia sia una battaglia persa. Da destra a sinistra sono tutti d’accordo e ci allontaniamo sempre di più da una concezione liberale e meritocratica del nostro sistema pensionistico”.