Ed è lì che va rivolta l’attenzione di tutti perché i più deboli e vulnerabili, dice il Papa, devono essere aiutati. Non è una scelta, ma «una grande responsabilità a cui nessuno può sottrarsi, e che porta Francesco a ringraziare quanti «sono arrivati solo qualche mese fa» e «stanno già aiutando i fratelli e le sorelle che sono giunti in tempi più recenti».
Il Papa fa bene a invitare all’accoglienza e a salvare vite umane. Soccorrere i naufraghi è un imperativo categorico. Però neppure si può cedera al ricatto morale (e politico) delle navi Ong o nella retorica pura dei porti aperti. Ai fedeli non è sfuggito che un conto è accogliere, un altro farsi invadere, un conto è aiutare le navi in difficoltà, un altro incitare gli scafisti a partire, un conto è garantire condizioni di vita dignitose a chi sbarca, un altro è lasciare che venga arruolato come schiavo pagata a cottimo.
Ma c’è una cosa profondamente dolorosa, credo, per molti credenti. Padre Sorge ha definito così la politica di Salvini: «I porti chiusi sono disumani come le leggi razziali». Questo paragone avvicina la politica dei porti chiusi alla Shoah, il Male assoluto. Così, chi è scettico verso l’immigrazione viene demonizzato e collocato al di fuori della Chiesa. E questo “escludere” è quanto di meno evangelico ci sia.
Alessandro Gnocchi, 9 luglio 2019