Quando Tempi parla con Nicola Porro, a inizio luglio, il suo libro La grande bugia verde, edito dalla casa editrice di cui è anche socio, Liberilibri, è già alla terza ristampa in meno di un mese. Significativo, per un saggio che va contro la vulgata mainstream sul clima, quella che racconta i cambiamenti climatici con allarmismo apocalittico e incolpa l’uomo per ogni stormir di fronde. Il successo di questo volume non si spiega solo con la notorietà del suo autore, vicedirettore del Giornale, conduttore di Quarta Repubblica sulle reti Mediaset, curatore di un sito che porta il suo nome e autore seguitissimo di una rassegna stampa mattutina sui suoi canali social, “La Zuppa di Porro”. «Io credo che la gente voglia capire un po’ di più», dice, «capire perché non può staccare il tappo dalla bottiglietta, perché paga di più l’elettricità, perché deve per forza cambiare l’auto e prenderla elettrica, perché volare in aereo costerà di più, perché dobbiamo fare miliardi di investimenti in pale eoliche e fotovoltaico quando dall’altra parte del mondo ancora bruciano carbone e petrolio. Non dico che siano convinti di quello che io dico, neppure mi interessa, il mio obiettivo è coltivare il dubbio». Riaprire il dibattito su un argomento dato per chiuso, insomma. «Ma non è chiuso per niente!», sbotta Porro, «c’è una fetta non marginale della comunità scientifica che da anni contesta la narrazione climatista, quella per cui il mondo sta per finire a causa del riscaldamento globale ed è tutta colpa dell’uomo». Il problema è che la voce di questi scienziati è silenziata da quella che lui chiama “propaganda green”, una vera e propria religione laica con i suoi dogmi, i suoi riti e i suoi eretici da mettere a tacere.
La grande bugia verde è un libro scritto a più mani: insieme a Porro ci sono i contributi di dieci scienziati che, dati alla mano, smontano uno per uno i grandi luoghi comuni dell’ideologia verde: i ghiacci dei poli si stanno riducendo? No. Il numero di morti a causa di eventi naturali estremi cresce? No. Ci sono più uragani e alluvioni di un tempo? No. Ogni capitolo è seguito da una corposa bibliografia scientifica per chi volesse approfondire. L’intento, spiega Porro, «è dare un messaggio divulgativo e scientifico insieme». Facendo parlare chi, pur avendo le carte in regola per farlo, spesso non viene fatto parlare. Un paradosso, trattandosi di scienza. «Non sono di formazione marxista, non penso che le vicende dell’uomo dipendano dalle vicende economiche, ma che ci siano grandi vicende spirituali che hanno molto più potere dei soldi. Nel caso dell’ideologia ambientalista, però, non ti sbagli se segui il vecchio adagio “follow the money”». Chi sostiene la necessità della decarbonizzazione a colpi di eolico e solare per salvare il mondo, spiega Porro, «mette un sacco di soldi nelle università e nel sistema mediatico: è ovvio che la ricerca accademica sarà focalizzata soprattutto su quei temi». E i media? Nei media invece «c’è la solita commistione tra investitori pubblicitari e giornalisti che in gran parte hanno un’idea di società non capitalistica, come tanti intellettuali».
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La critica ambientalista è innanzitutto una critica di sinistra al modello di sviluppo economico occidentale. Un altro paradosso, nota Porro, «dato che, ad esempio, confligge con gli stessi princìpi della sinistra l’idea che siano sussidiate dalla collettività auto elettriche che costano tra i 30 e i 50 mila euro, che possono cioè permettersi in pochi: è redistribuzione del reddito dai più poveri ai più ricchi. Così come l’idea che si possano efficientare le case a spese della collettività, come avvenuto col Superbonus: è una redistribuzione della ricchezza da tutti, attraverso la fiscalità generale, a quei pochi, pochissimi, che hanno potuto mettere a posto la propria casa. Abbiamo speso 250 miliardi di euro in 10 anni in sovvenzioni per il fotovoltaico, mettendoli sulla bolletta di tutti gli italiani, quindi anche di quelli che non arrivano alla fine del mese: soldi che si sono spartiti imprese private che hanno fatto business su questo. La sinistra dovrebbe stare con i forconi in piazza invece di sposare questa causa in maniera così irrazionale». Quanto sia irrazionale Porro lo spiega bene nel suo libro con numeri e dati. «Un pannello fotovoltaico tra il 2004 e oggi ha aumentato la sua efficienza passando dal 10-15 ad appena il 22-23 per cento. Stiamo parlando di una tecnologia morta, che può anche essere utilizzata in altri campi ma che sopravvive soltanto grazie ai miliardi di sussidi». Come dice Bjørn Lomborg, se il cambiamento climatico non fosse raccontato come apocalisse imminente sarebbe un’ottima “scusa” per investire nell’innovazione. Invece continuano a venderci soluzioni preconfezionate che non funzionano: l’eolico, il solare, le auto elettriche.
«Il nuovo piano di adeguamento agli obiettivi europei varato poche settimane fa dal governo prevede che da qua al 2030 dovranno essere vendute 5 milioni di auto elettriche. Ora tu mi devi spiegare, visto che in Italia nell’ultimo anno ne abbiamo vendute in tutto 45 mila, come si possa fare un piano di questo tipo. E non è finita: nel piano si prevede anche una riduzione dei consumi energetici in Italia del 30 per cento nei prossimi anni, praticamente ci auguriamo la desertificazione industriale del paese!». La gente però inizia a stufarsi, e vota chi non porta avanti politiche green costose e infattibili. «Fino a che terrorizzi i cittadini facendo loro credere che la fine del mondo è imminente, magari ci credono. Credono anche che se piove è colpa del climate change, se non piove è colpa del climate change, se ci sono le buche in strada a Milano – lo ha detto il sindaco Beppe Sala – è colpa del climate change…».
Quando però vedono le conseguenze di questa “battaglia” nei loro portafogli e nei loro stili di vita, iniziano a farsi delle domande, a chiedersi se hanno senso certi sforzi per combattere una paura irrazionale». C’è molta ecoansia, dicono. «È una generazione fottuta», sbotta Porro, «una generazione in cui a diciotto anni un ragazzo dice di avere l’ecoansia è il prodotto del fallimento delle classi dirigenti e delle famiglie. A 18 anni devi avere la gioia di vivere, voglia di futuro, la speranza di fare una famiglia, non l’ecoansia! La società occidentale sta assumendo dosi sempre più massicce di fentanyl ambientale: siamo degli zombie».
Dietro alla lotta al cambiamento climatico c’è una lotta al nostro stile di vita, è una guerra che facciamo contro noi stessi. «Abbiamo dato troppo potere allo Stato e alle burocrazie. La debolezza dell’Occidente è che abbiamo invertito il rapporto per cui funzionari pubblici e politici non sono più al servizio della cittadinanza, ma la cittadinanza è al servizio di funzionari e politici. Faccio un esempio stupido ma significativo. In quasi tutte le città ormai se vuoi entrare in centro sei obbligato ad avere automobili “adeguate” dal punto di vista ambientale, mentre il servizio di trasporto pubblico è ancora super inquinante. In un mondo normale, un funzionario pubblico non potrebbe mai permettersi di limitare la nostra libertà di circolazione nel momento in cui lui palesemente la viola. Ma se voi non siete riusciti a cambiare gli autobus, peraltro con i soldi miei, volete che io con i soldi miei cambi la mia auto?».
In questa follia ci sono molte colpe dei media, che hanno sposato la causa del catastrofismo ambientale perdendo di oggettività e lucidità. La cosa si spiega certamente con il fatto che «la paura fa vendere più copie», come ha detto Lomborg a Tempi, ma c’è di più. «I media progressisti a inizio anni Duemila hanno flirtato molto con il concetto del mondo sempre più disuguale – a sinistra sono per l’uguaglianza imposta dall’alto, la destra liberale è per la libertà del singolo con la tutela dei più deboli. Il tema della disuguaglianza però non ha avuto molta presa, fino a che non hanno capito che l’ambientalismo era il grimaldello più forte che avevano per ottenere lo stesso risultato, cioè distruggere il sistema di mercato sostenendo che non è in grado di autoregolarsi. Bisogna dare loro atto che hanno avuto inventiva e hanno trovato slogan molto efficaci che hanno avuto un grandissimo successo (uno di questi è “non abbiamo un pianeta B”). Dall’altra parte c’erano e ci sono professori ridicolizzati se dicono cose diverse da questi slogan, e che si sono presentati come topi di laboratorio che per spiegarti le glaciazioni non ti danno una formula secca, ma fanno un ragionamento. Contro gli slogan il ragionamento non vince, sia a destra che a sinistra». E poi si sono inventati personaggi che “funzionano” come Greta Thunberg. «Io credo che quando tra cinquant’anni il mondo racconterà questi anni molti si chiederanno come sia possibile che la classe dirigente occidentale si sia inginocchiata davanti a questa ragazzina espressione di un pensiero magico, altro che scienza: “Ma veramente eravamo così rincoglioniti?”, si chiederanno».
Greta è quella che ha avuto l’idea di estendere la fattispecie dei reati ambientali al vago e inquietante “ecocidio”, proposta raccolta in Italia da Avs, il partito di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. «Una follia», dice Porro, «però bisogna essere onesti intellettualmente: la tendenza a inventare nuovi reati per bloccare cose che non piacciono alla politica si attesta sia a sinistra sia a destra. Se uno inquina, nell’ordinamento sono già previsti i reati ambientali. In questo caso si considera reato aver fatto qualcosa che fra vent’anni potrebbe fare danni. Una follia non giuridica da Minority Report». E chi non è d’accordo è un negazionista. «L’uso di questo termine per definire chi non crede al catastrofismo climatico è una cosa tremenda – così come venivano definiti negazionisti coloro che durante il Covid si ponevano dei dubbi sull’utilità del Green pass. Questa idea di associare alla più grande tragedia del secolo scorso, l’Olocausto, quelli che non la pensano come il mainstream è di una scorrettezza unica. Lo scrivo anche nel libro: è proprio una scorrettezza linguistica». Solo che ormai è entrata nel linguaggio comune. «Forse avrei dovuto chiamare il mio libro diversamente», scherza Porro, «però avrei messo in imbarazzo i dieci scienziati che lo hanno scritto con me e i cui ragionamenti non sono negazionisti, ma contestano i modelli climatologici, le “evidenze” sui ghiacciai che si sciolgono, sugli eventi estremi, sugli Esg, sulla base dei dati. Però mi sarebbe piaciuto davvero épater le bourgeois e titolarlo “Il manuale del negazionista”».