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Per colpire Trump usano pure l’omicidio di Floyd

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Ho aspettato un poco prima di esprimermi sull’omicidio che si è consumato a Minneapolis e, anche se per lavoro spesso mi sono trovato davanti a scene di violenza e ho visitato siti di attentati terroristici a distanza di pochi minuti dai fatti, sinceramente non riesco a guardare la fotografia di Derek Chauvin, il poliziotto assassino, che sta uccidendo George Floyd a sangue freddo e, come si è venuto a sapere dopo, anche per futili motivi.

Ciò che fa male nel guardare quell’immagine, almeno nell’anima di chi ha un cuore e che sente dentro sé il valore immenso della vita umana, oltre alla disperazione della vittima è la postura dell’assassino. Gli occhiali da sole ben poggiati sulla fronte e, addirittura, una delle mani nelle tasche dei pantaloni come se mentre uccideva, o almeno procurava la morte un altro essere umano, Derek Chauvin si stesse riposando. Secondo il Coroner del Dipartimento di Polizia di Minneapolis, l’autopsia su George Floyd ha accertato che ‘non ci sono elementi fisici che supportano una diagnosi di asfissia traumatica o di strangolamento’, pertanto, secondo i risultati dei primi esami sul corpo, la vittima non è morta né per asfissia né per strangolamento. Secondo quanto si legge nel referto, ‘gli effetti combinati dell’essere bloccato dalla polizia e le sue preesistenti condizioni di salute (ipertensione arteriosa e problemi coronarici) con potenziali sostanze tossiche dallo stesso ingerite o auto-iniettate hanno contribuito alla sua morte’.

Come dire che se l’era cercata e che un ginocchio sul collo per ben nove minuti, durante i quali l’uomo, prima di morire, aveva più volte ripetuto di non riuscire a respirare, siano stati per la vittima, e questo lo scrivo io, una vera passeggiata di salute. Se Derek Chauvin anziché tenere quella mano comodamente in tasca l’avesse usata per immobilizzare il fermato senza causare danni, oggi George Floyd sarebbe ancora vivo e starebbe scontando la vera pena per ciò che aveva fatto. Ma le considerazioni sugli eventi vanno fatte a mente fredda, con la logica del cervello e non con le emozioni del cuore e, vagliando i fatti, il ragionamento porta a varie considerazioni.

La prima è che la responsabilità penale ricade sull’assassino e sui suoi complici, gli altri agenti che sono rimasti a guardare, che dovranno essere giudicati e, se riconosciuti colpevoli, condannati pesantemente in modo che ogni altro agente di polizia, di Minneapolis o del resto del mondo, capisca che non si può uccidere impunemente e senza motivo. Anche perché, oltre al filmato girato dalla passante che ha ripreso gli ultimi istanti della vita di George Floyd, nel quale si sente la vittima implorare per poter respirare, esistono anche le riprese di una telecamera di sicurezza di un locale dove si vede chiaramente, al contrario di ciò che hanno dichiarato gli agenti implicati, che non c’è stata nessuna resistenza al fermo.

È necessario inoltre sottolineare che in passato l’agente indagato si era già reso protagonista di dubbi episodi di violenza, tra cui l’uccisione di una ventunenne con due colpi di pistola all’addome che, secondo la sua deposizione, l’avrebbe aggredito. Lo stesso agente non era mai stato rimosso dall’incarico, né dal capo della polizia (afroamericano) né dal sindaco. Purtroppo le violenze di questo tipo fra polizia e parte della popolazione civile non sono un’eccezione, basterebbe leggere le cronache cittadine per capire che aria tira in certe città americane, per la precisione in certi quartieri di molte città americane.
Qualche volta, spesso proprio quando ci sono elezioni politiche all’orizzonte, queste violenze, che mettono le città a ferro e fuoco, cosa che è successa anche questa volta e che ha richiamato in strada i peggiori delinquenti che, oltre a scontrarsi con la polizia e la Guardia Nazionale, hanno dato il via a saccheggi portando i proprietari degli esercizi commerciali a difendere, anche con le armi, i loro negozi e magazzini.

A quel punto la spirale di violenza si completa ed è difficile riportare la calma, anche perché dietro al caos che si crea in queste occasioni, inutile nasconderlo, ci sono interessi di chi ama pescare nel torbido. La polizia ci mette del suo in comportamenti che vanno stigmatizzati, anche se essere poliziotti in certi distretti è oggettivamente difficile e la calma, a volte, diventa merce rara. L’arresto di una troupe della Cnn è stato il segnale di quanto sia facile mandare in corto il fusibile della pazienza. Ma le rivolte, e poi i saccheggi che si sono susseguiti e allargati a macchia d’olio anche ad altre città non coinvolte con i fatti, sono, sicuramente, il frutto di una programmazione tesa a provocare disordini che vanno oltre la legittima protesta, disordini che rendono ancora più difficile dare giustizia a George Floyd, la vera vittima.

Disordini strumentali che servono solo a mettere in difficoltà una parte politica e non è escluso che dietro ciò ci sia lo zampino dei “Black Lives Matter”, organizzazione “spontanea” che nelle intenzioni dovrebbe difendere le persone di colore dalla violenza della polizia, ma che, di fatto, come questa volta, esce allo scoperto solo sotto elezioni.

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