Che – nella lunga partita del Coronavirus – abbia vinto il caos, è pacifico. Che abbia trionfato la compressione della libertà, pure. Che sia stata schiantata l’economia, anche. Da quest’ultimo punto di vista, nel prossimo semestre, ci sarà un dato da tenere d’occhio: i fallimenti, le chiusure, le diverse forme (più o meno cruente o invece controllate e “eutanasiche”) di mortalità di un’impresa. Tutto ciò sembra purtroppo acclarato. Proviamo almeno a evitare che, sul versante sanitario, per sovrammercato, non vincano pure la paranoia, l’isteria, un approccio ossessivo.
Più tamponi, più positivi
Cerchiamo di essere razionali. È matematico che, con l’aumento del numero dei tamponi praticati, crescerà fatalmente anche il numero dei casi positivi. E che questa crescita sarà fatalmente irrobustita dalla ripresa delle scuole, da una presenza più massiccia e contemporanea delle persone sui mezzi pubblici e in ambienti chiusi. È inevitabile. Senza perdere la testa, si tratta di continuare a monitorare, com’è accaduto nel periodo estivo, che queste positività non si traducano nella gran parte dei casi in sintomatologie gravi, e che di conseguenza non ci sia un’impennata né delle ospedalizzazioni né tantomeno delle terapie intensive. Se le cose andranno così, non c’è motivo di farsi saltare i nervi.
Nervi saldi
A maggior ragione, servono teste fredde, specie se – portandoci avanti con il lavoro e con il calendario – consideriamo l’ormai prossima sovrapposizione tra Covid e l’inevitabile influenza stagionale, più il corredo di tosse e raffreddore che fatalmente, tra fine settembre e ottobre, cominceranno a interessare tante persone. Che facciamo, al primo colpo di tosse ci abbandoniamo a una crisi isterica? Gettiamo nel panico una persona e la sua famiglia? Paralizziamo strutture lavorative, già largamente rese di fatto non operative dallo smartworking? Confondiamo i sintomi di una banale influenza con il contagio da Coronavirus? Anche qui, sarebbe il caso che in primo luogo l’informazione esercitasse l’arte della distinzione, spiegasse, rassicurasse, trattasse in modo diverso situazioni diverse, evitando di infilare tutto in un unico minestrone emotivo.
Non colpevolizzare i positivi
E infine: quanto a chi risulterà positivo, smettiamola, com’è accaduto nelle ultime settimane, di colpevolizzarlo e di appiccicargli addosso uno stigma di irresponsabilità. Ormai può più che mai capitare a tutti, con numeri crescenti, anche avendo tenuto un comportamento assolutamente prudente e responsabile, di risultare contagiato. Sarebbe paradossale se, all’oggettivo disagio dell’autoisolamento e del rispetto dei protocolli (con tutti i disastri lavorativi e familiari che ciò può comportare per chi sia lavoratore autonomo e non viva in una casa grande come un campo di calcio, condivisa con i suoi familiari) si aggiungesse anche la beffa di un’assurda colpevolizzazione.
Daniele Capezzone, 14 settembre 2020