Esteri

Contro Israele danno per buone pure le fonti di Hamas

La notizia dell’uccisione di 15 operatori umanitari per mano di Israele viene venduta come verità assoluta anche se l’unica fonte è il Ministero della Sanità di Gaza (controllata dai terroristi)

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Che i media, anche i grandi media internazionali, siano diventati colpevolmente inaffidabili è ormai certo. Pertanto l’informazione, affetta dalla sindrome del politicamente corretto, infettata dal virus woke che dà spasmi di delirium tremens dovuti all’astinenza di cancel culture, non gode più della fiducia da parte di chi è riuscito a mantenere vivi i neuroni che compongono il cervello pensante. A tutti gli altri, purtroppo, non rimane che vivere nel limbo delle illusioni e dei dati certi, anzi certissimi, inculcati a forza dal lavaggio costante e quotidiano che viene effettuato, come un moto perpetuo inarrestabile, a tutte le ore di tutti i giorni. Festivi compresi.

Fake news senza alcuna prova, fatti stravolti girati e riportati secondo la narrativa della vulgata popolare e soprattutto dell’ideologia distruttiva che ha preso piede in tutti gli ambienti che contano. Politica, cultura, accademia, arte, narrativa e tutto quello che dovrebbe essere il sapere umano è stato negli ultimi anni ridotto a un cumolo di macerie sul quale, obtorto collo, saremo costretti in futuro a ricostruire il nostro mondo. Lo vediamo ovunque, cinema: Biancaneve e i sette diversamente cresciuti. Arte: la banana da milioni di euro o l’elefante che dipinge con la proboscide, con buona pace di Giotto, Raffaello e Michelangelo. Musica: cantanti più famosi per i capelli colorati, per i tatuaggi e per gli abiti praticamente inesistenti che non lasciano più nulla alla fantasia che una volta sarebbe stati buoni per i film pornografici, per i loro orientamenti sessuali, gender, fluidi e chi più ne ha più ne metta, che non per le loro ugole.

Tornando all’informazione, soprattutto dal Medioriente, tema che visti i venti di guerra combattuta e di catastrofe prossima ventura ci interessa in maniera particolare, in questi anni abbiamo assistito a una vasta gamma di bufale in prima pagina da parte delle più prestigiose testate e agenzie di stampa, ma a poco sono servite le scuse più volte reiterate da parte della BBC, del New York Times, del Times, della CNN, della Reuters, di Antenne 2 e di tanti altri, compresi le varie testate e i Tg italiani che per motivi di spazio non possiamo elencare.

Le scuse, non sempre sia chiaro, ci sono state, ma nella totalità dei casi in sordina e inascoltate, mentre gli articoli bufala sono rimasti vivi e dopo il primo momento di cronaca sono spesso usati per certificare altre bufale, quelle da sparare in prima pagina in un nodo gordiano di bufale che generano loro stesse in un inarrestabile crescendo rossiniano. Il vertice di tutte le bufale, l’apoteosi del nulla, ammesso che non sia stato un pesce d’aprile ma l’autore non ha smentito, lo abbiamo visto su Fanpage.it il 1° aprile 2025 in un articolo dal titolo: “Ammanettati, fucilati e gettati in una fossa comune. Così Israele ha giustiziato 15 soccorritori a Gaza” firmato da Davide Falcioni. Il pezzo denuncia l’uccisione sommaria di 15 operatori umanitari da parte dell’esercito israeliano a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. La notizia è presentata come certa. Questo perché la formulazione, come evidente già nel titolo dell’articolo, non lascia spazio a dubbi, condizionali o interrogativi: Israele avrebbe giustiziato civili, gettandoli in una fossa comune.

Ma c’è un problema. Anzi, molti. Nell’articolo la cronaca viene presentata come verità giudiziaria e già dal titolo si capisce che non si tratta di una denuncia ma una condanna a prescindere. Il verbo “giustiziato” appartiene al linguaggio della sentenza, non a quello dell’informazione. Non è mai citato un “secondo fonti” e neanche un “presunto”: non esiste nell’articolo nessun dubbio, nessun condizionale, nessuna prova, nessuna inchiesta e nessuna fonte terza. Eppure, come ammette lo stesso articolo, l’unica fonte della ricostruzione è il Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, e la Protezione Civile palestinese. L’unico riferimento esterno è la dichiarazione di un funzionario Onu, Jamie Mc Goldrick, che conferma il ritrovamento di corpi ma non parla di esecuzioni, né di fossa comune nel senso giuridico del termine. “The discovery of a mass grave containing the bodies of at least 15 people… is deeply shocking”, ha dichiarato Mc Goldrick. (OCHA, 31 marzo 2025)

Il condizionale non è mai stato così necessario, ma l’articolo lo ignora del tutto. L’informazione trasformata in narrazione emotiva. La struttura del pezzo segue una regia retorica ben nota: titolo da tribunale militare. Dettagli che provocano orrore nei lettori (guanti ancora indossati, mani legate, spari, ambulanze schiacciate). Silenzio israeliano. Denuncia di “ennesimo crimine di guerra”. Tutto è costruito per far coincidere l’orrore con la colpa. Nessuna domanda viene posta.
Nessuna voce israeliana è presente, nemmeno per smentire. Le omissioni non sono neutre. Manca completamente il contesto bellico: Rafah è oggi teatro di combattimenti attivi. Non si dice che Hamas ha usato ambulanze, scuole e ospedali per scopi militari (documentato da più report e video, anche contestati, ma esistenti). Non si dice che l’IDF ha denunciato l’uso sistematico di operatori umanitari per trasportare armi, e che questi casi sono oggetto di indagini.

L’articolo di Fanpage.it non s’interroga nemmeno su un dettaglio fondamentale: quali elementi permettono di affermare che si tratti di un’esecuzione deliberata? Dove sono le prove, i referti, le immagini? Nessuna. Quando l’informazione abdica, resta la rappresentazione. Non siamo davanti a una fake news, le fonti esistono, ma vengono trattate con fede narrativa, non con spirito critico. Il racconto si regge sull’indignazione, non sulla verifica, come se il lettore dovesse sentire e non pensare. Il risultato è un testo che accusa senza provare, crede senza verificare, emoziona senza spiegare. La responsabilità dell’informazione è più urgente che mai. Le guerre si combattono anche sul piano narrativo.

Un’accusa di “esecuzione di civili” da parte di uno Stato democratico in guerra non può essere avanzata senza inchieste, verifiche e contraddittorio. Non per difendere Israele, ma per difendere il senso stesso dell’informazione. Questo non è un appello al “bilanciamento”, ma alla responsabilità epistemica. Se l’orrore è reale, va raccontato con le categorie della verità, non con i codici dell’emozione. Al punto in cui siamo arrivati è necessario segnalare quando le parole saltano i passaggi logici, quando le narrazioni si appropriano dei fatti e li riscrivono, quando un titolo ha più forza di dieci verifiche. Soprattutto quando accade nel cuore dell’informazione italiana che racconta un teatro bellico come quello mediorientale all’interno del quale si stanno giocando una gran parte dei destini del mondo, e quello di Fanpage.it, purtroppo, non è che l’ennesimo caso di mala informazione da parte della stampa europea in generale e italiana in particolare.

Michael Sfaradi, 3 aprile 2025

Fonti:
Fanpage.it, “Ammanettati, fucilati…”, 1 aprile 2025
UN OCHA, Statement on Rafah discovery, 31 marzo 2025
IDF, comunicati ufficiali 2023–2024
Rapporto Meir Amit Intelligence Center, dicembre 2023
Documentazione video (canale YouTube IDF, archivio Al Jazeera)
Redazione Free4future

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