Per definirsi liberali bisogna essere anche liberisti

Gli scritti di Sergio Ricossa, economista e liberale vero, per leggere il presente

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Si fa presto a dire “liberale”. In un periodo come quello attuale in cui continuano a dirsi liberali anche coloro i quali si comportano (e magari legiferano) in maniera opposta, ci viene in soccorso Sergio Ricossa con alcune riflessioni che sanno di preveggenza, con un quarto di secolo di anticipo.

“Cinquant’anni fa mi pareva sufficiente dichiararmi, a richiesta, liberale einaudiano. Allora esisteva pure un partito liberale italiano, al quale credo di essere stato iscritto e del quale ho perso le tracce. L’ingenuità della giovinezza mi impediva di pensare che la libertà fosse più stuprata delle donne e che il suo stupro fosse il più impunito dei delitti: mi impediva di pensare che il voto democratico fosse, il più delle volte, fra le forme più truffaldine di abuso contro gli elettori. A poco a poco mi convinsi che c’era da vergognarsi a portare l’etichetta di liberale, ed era mortificante precisare: liberale einaudiano. Il fatto era che il povero Luigi Einaudi, sconsolato scrittore confesso di “prediche inutili”, riceveva omaggi informali soprattutto da coloro che in politica si impegnavano a realizzare il contrario delle sue idee.

Scoprii che Luigi Einaudi era stato eletto presidente della Repubblica da partiti che desideravano sbarazzarsi di lui: promoveatur ut amoveatur (si sapeva che egli sarebbe stato un presidente neutrale). [Sergio Ricossa , Da liberale a libertario – 1999 Leonardo Facco Editore). Anche quella liberale, ad un certo punto, diventa una delle tante etichette non ben definite, all’interno delle quali ci si infilano in troppi, annacquandone il significato:

“Comincerei col dire che le etichette hanno poca importanza, specialmente in politica dove sono tutte più o meno equivoche […] Fu poi una frase di Gramsci che mi indusse a spostare il tiro. Gramsci, proprio parlando di Einaudi e prendendolo in giro, diceva che Einaudi stava consumando la sua vita nel cercare di convincere gli industriali a fare cose che gli industriali non faranno mai. Questo “liberismo” che secondo Einaudi avrebbe dovuto giovare anche agli industriali – perché la concorrenza, purché sia libera e leale, fa bene anche agli industriali-, essi invece lo consideravano una punizione da fuggire[…] E, allora, se aveva fallito lui , che pure era un grande giornalista oltre che un grande economista, lui che aveva come portavoce il massimo giornale italiano, a maggior ragione sarei fallito io. [… ] Per tutte queste ragioni l’etichetta liberale mi andava stretta. Anche perché perfino i comunisti ormai si dichiarano liberali [Ibid].

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Quando si dice la preveggenza e la lungimiranza!! Sembra scritto, con più di vent’anni di anticipo, anche per la situazione attuale, dove liberali sedicenti, a parole e a sproposito, se ne vedono tanti. Einaudi spiegò che la libertà economica era fondante, e che quindi il liberalismo includeva il liberismo. Ricossa ci portò a concludere il percorso che, da liberale e liberista, conduceva all’approdo libertario:

“Per dirla con una battuta: partii da Milton Friedman e poi scoprii David Friedman, suo figlio. E naturalmente padre e figlio non erano sulle stesse posizioni. Capii che si poteva essere a favore della libertà e contro lo stato in vari modi. Arrivare fino ad un certo punto e non oltre, come Milton. Andare oltre, come David. Così mi venne voglia di affrontare anche il pensiero del Friedman più giovane. E mi piacque, perché a me piacciono le idee estreme e un po’ paradossali. Ricordo quel che diceva Einaudi: “C’è un punto critico oltre il quale anche le virtù diventano dei vizi”. Però quando l’opinione pubblica è molto confusa, ogni tanto bisogna far vedere la differenza fra una bandiera politica e l’altra andando all’estremo”.[Ibid]

Quando l’opinione pubblica è confusa è necessario “far vedere la differenza fra una bandiera e l’altra”, avendo il coraggio di Sergio Ricossa per indicare il percorso da liberale a liberista a libertario. “[…] io simpatizzo sempre per i giovani […] e fui rinforzato nella mia idea che strategicamente si dovesse andare un po’ oltre il liberalismo classico ed essere un po’ più audaci. Un po’ più giovani”.

Fabrizio Bonali, 8 agosto 2023

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