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Per la sinistra l’unica destra buona è quella morta - Seconda parte

In realtà, è venuto il tempo di por fine alle menzogne buoniste sulla storia italiana di ieri e dell’altro ieri. A cominciare dal mito di una prima Repubblica in cui partiti e leader politici si rispettavano, pur se su posizioni assai distanti. Purtroppo sono abbastanza avanti con gli anni da ricordare i manifesti elettorali del Pci con le caricature dei democristiani chiamati “forchettoni” e le denunce continue e martellanti delle loro vere o presunte ruberie (“I cento miliardi della Federconsorzi!” tuonava Giancarlo Pajetta dagli schemi televisivi). Forse ci si è dimenticati che nel 1953 – l’anno dello scandalo Montesi – quando deputati e senatori Dc entravano in Parlamento venivano investiti e insultati al grido di “capocottari” (dalla tenuta di Capocotta del marchese Ugo Montagna, accusato dell’omicidio di Wilma Montesi, assieme al  figlio del ministro degasperiano Attilio Piccioni, Piero  risultato poi, dopo tante tribolazioni giudiziarie, innocente)?

No, con buona pace dei buonisti postumi, la lotta politica nell’Italia del dopoguerra fu spietata, crudele, irrispettosa – e si può anche concedere da una parte e dall’altra. E se non degenerò in qualcosa di peggio lo si dovette al fatto che, fino al centro-sinistra, la Dc fu partito di maggioranza quasi assoluta e che il Ministero degli Interni venne retto da un uomo, Mario Scelba, la cui benemerenze democratiche sono ancora lontane dall’essere riconosciute. In quel clima, la violenza era costretta a rimanere “verbale” giacché non sembrava molto prudente sfidare le istituzioni, come ben sapeva un genio machiavelliano come Palmiro Togliatti. Forse nelle campagne emiliane, a Brescello, potevano far finta di combattersi persone come Peppone e don Camillo, che sotto sotto si volevano un gran bene, ma nel resto d’Italia, l’idillio raccontato dal grande Giovannino Guareschi, era un mito.

Dino Cofrancesco, 13 novembre 2019

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La sinistra ha un problema: gli elettori

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