Il nuovo vaccino del Premier Conte per la sua sopravvivenza, in seguito alla mala gestione del Covid si chiama 142 nomine. Un’orgia di incarichi negli enti pubblici che vanno dal mondo delle Ferrovie (Trenitalia, Italferr, ecc.) al Poligrafico dello Stato, Invitalia, Consap e Consip e negli apparati più delicati dello Stato. Come se non bastasse, vengono messi sul piatto, nelle ultimissime ore, anche due ambitissimi rimpiazzi di Ad: quelli di Alessandro Profumo (Leonardo) e Fabrizio Salini (Rai).
Bye Mr Arrogance
La rimozione di Profumo è formalmente legata alla sua condanna in primo grado per i pasticci attribuitigli quando era a Mps, ma in realtà deriva dalla gestione disastrosa del gruppo che viaggia tra un indebitamento monstre e una perdita di commesse senza precedenti. Per gli analisti urge un aumento di capitale, con il mondo della Difesa, soprattutto inglese e Usa, che, per motivi reputazionali, non vuole più trattare con il manager soprannominato “Mr. Arrogance”. La presenza come presidente del generale Luciano Carta è l’unica garanzia per evitare all’ex Finmeccanica un lockdown commerciale.
Salini via, RaiStoria salvo
Per Fabrizio Salini, invece, è arrivato il tempo di smontare di corsa dal cavallo di viale Mazzini. Sotto la sua gestione, la Rai è diventata una babele, con dirigenti che girano a vuoto e redazioni e giornalisti allo sbando. Totalmente isolato e paralizzato, Salini vive ormai come un monaco di clausura, dopo aver forzato, contro tutto e tutti, le direzioni trasversali e tematiche, create con l’intento di togliere lo scettro ai direttori di rete, ma alla fine svanite senza lasciare traccia. Ancora vacante la direzione di Rai fiction e giustamente rimangiata la decisione di chiudere RaiStoria e RaiSport. L’unico con il quale l’Ad ancora si consulta e si aggrappa, è un tecnico mixer, animalista convinto, strenuo paladino dei cinghiali che circolano a Roma, Riccardo Laganà, il quale grazie all’ultima riforma, siede nel Cda a difesa dei lavoratori. Nel suo account Facebook, una frase svela la sua azione riformatrice: “la serva è ladra, la padrona è cleptomane”.
Rinvii continui
Ma, tornando alla scorpacciata di nomine pubbliche lo scandalo è che vengono rinviate da circa 5 mesi, di quindici giorni in quindici giorni. Prossima scadenza, il 12 novembre. È lo specchio dei dissidi nel governo giallorosso. Nomi? Una girandola infinita, in una roulette russa tra pizzini e colpi bassi. È stato addirittura istituito l’ennesimo tavolo composto dal sottosegretario Riccardo Fraccaro, Antonio Rizzo, definito il Cencelli pentastellato e collaboratore dello stesso Fraccaro, poi Alberto Losacco, piddino, e Ettore Rosato, per Italia Viva, che raggiunge le riunioni in monopattino elettrico. Per notti intere si sono scannati a vuoto sotto lo sguardo impotente del sottosegretario Stefano Buffagni. Talmente a vuoto che, avendo tutte le società in questione approvato il bilancio 2019 ed essendo trascorsi ormai i 45 giorni prescritti dalla legge per rinnovare i Cda, il fine giurista Conte dovrà adottare un decreto ad hoc per eliminare questo termine, altrimenti la gestione passerà ai collegi sindacali come è già successo per Invitalia.
Ma perché finora il premier ha fatto melina sulle nomine, paralizzando l’operatività di un centinaio di aziende pubbliche? Vuole tenere tutti sulla corda, e a Palazzo Chigi gira una voce: Conte non le autorizzerà finché non gli sarà garantito che suoi uomini fidatissimi o, comunque, ad immagine e somiglianza del suo accolito capo del Dis, Gennaro Vecchione, vadano ad occupare i posti vacanti o in scadenza nelle caselle più delicate dei servizi segreti e in quella del nuovo Comandante Generale dei Carabinieri, pure in scadenza. In pole position due ufficiali di razza: Angelo Agovino, del 1957, attualmente distaccato all’Aise e Teo Luzi, 1959, capo di Stato Maggiore dell’Arma che a differenza del collega più anziano ha tre anni pieni di mandato, come auspica da sempre il Quirinale.
L’ex avvocato degli italiani, ossessionato dalla security, si sente più sereno, soprattutto in questi tempi di calo di consensi, con un uomo di sua fiducia in viale Romania e con barbe finte fedeli nei posti giusti. Fino a quando Mattarella, che continua anche in fatto di nomine a chiedere il coinvolgimento delle opposizioni, e i leader della maggioranza possono sopportare tutto questo mentre il Bel Paese è entrato non solo in recessione, ma soprattutto in depressione?
Luigi Bisignani, Il Tempo 1° novembre 2020