Per Toti peggio di un processo medievale

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giovanni toti

A seguito dell’accoglimento, da parte del GIP di Genova, dell’istanza di revoca degli arresti domiciliari, Giovanni Toti è tornato in libertà dopo più di ottanta giorni di custodia cautelare. L’intera vicenda – non conclusa, siamo ancora nella fase delle indagini preliminari – induce a delle riflessioni intorno all’operato della magistratura.

In particolare, il legale dell’ex Presidente della regione Liguria ha evidenziato, nel ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di rigetto del Tribunale del riesame di Genova, come “La funzione dell’interrogatorio delineata dall’ordinanza ricalca quella della confessione giudiziale nel processo canonico penale di epoca medievale”. Infatti, in quel modello processuale, “era richiesto al reo il riconoscimento della sua colpevolezza ed il successivo pentimento che gli avrebbe consentito di emendarsi, garantendogli la riconciliazione con Dio e con la Chiesa”. Una sorta di estorsione della confessione che ricorda quanto descritto, e fortemente stigmatizzato, da Alessandro Manzoni nella “Storia della colonna infame” pubblicata nel 1840.
Ed infatti Manzoni – nel cui pensiero convivono valori propri dell’illuminismo da un lato, e del romanticismo dall’altro, imbevuto, tra l’altro, di cultura classica, nipote di Cesare Beccaria, autore “Dei delitti e delle pene” e fortemente influenzato dal legame con i fratelli Verri – manifesta la sua forte approvazione al liberalismo non solo in materia economica, ma anche per quanto riguarda il diritto e la giustizia. Possiamo definirlo, a ragion veduta, come il padre del moderno garantismo.

E nella vicenda che ha visto coinvolto Toti durante gli ultimi ottanta giorni, è importante sottolineare come sia cambiato poco da quanto descritto nella “Storia della colonna infame”. Il saggio manzoniano, infatti, ripercorre una vicenda processuale svoltasi nella Milano del Seicento durante la peste, descrivendo dettagliatamente il processo contro Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora, accusati di aver diffuso la peste e condannati a morte tramite supplizio a causa di alcuni sospetti. I giudici costrinsero Piazza e Mora ad una confessione estorta con la tortura e con la promessa – ingannatoria – di garantire loro l’immunità. Nessuna prova contro di loro, nessun principio di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva. Si trattava di giustizialismo. Ma siamo nel Seicento. Qualcosa, oggi, dovrebbe essere cambiata, anche perché la nostra Costituzione prevede, all’art. 27, che “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. In poche parole, nel nostro ordinamento, è pacifico il principio garantista all’interno del processo penale, tanto aspirato dallo stesso Manzoni.

Per Toti non è stato così. A differenza dei protagonisti del saggio manzoniano, Piazza e Mora, l’ex Presidente della regione Liguria non è mai stato condannato. Tuttavia, la magistratura ha ritenuto opportuno tenerlo agli arresti domiciliari per quasi tre mesi, almeno fino a quando non si è dimesso dalla carica di Presidente di regione, legittimamente ottenuta mediante il voto popolare.

La magistratura riteneva che avrebbe potuto reiterare il presunto reato commesso, sebbene, su questo punto, ci sono stati importanti pareri contrari, non solo del suo legale, ma anche di altri notevoli giuristi, che – oltre Cassese – si sono espressi, in questo periodo, sui quotidiani. È importante ricordare che il nostro ordinamento prevede, alla base del sistema processuale penale, oltre al garantismo, anche un modello accusatorio che si basa sul principio dialettico tra le parti e sulla separazione delle funzioni processuali, secondo cui la verità può essere accertata se le funzioni processuali sono ripartite tra soggetti diversi, portatori di interessi contrapposti.

Infatti, qualche anno dopo la promulgazione della nostra Carta costituzionale, l’Italia ha aderito alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che ha rafforzato i principi prima menzionati.

La CEDU è una convenzione internazionale adottata dal Consiglio d’Europa che tratta di temi rilevanti in materia di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo. Per quello che interessa a noi, l’art. 5 di detta Convenzione tratta di “Diritto alla libertà e alla sicurezza”, prevedendo, tra l’altro, che la custodia cautelare debba essere limitata nel tempo ed applicata laddove esistano apprezzabili esigenze cautelari. Il caso di Toti, se portato alla Corte di Strasburgo, potrebbe rappresentare una lampante ipotesi di violazione dell’art. 5 della CEDU, che se accertata, comporterebbe anche delle sanzioni per l’Italia.

Non è la prima volta che in Italia accade una cosa del genere. Molto spesso il nostro Paese è stato condannato e sanzionato per comportamenti contrari alla CEDU a causa della magistratura, le cui conseguenze hanno implicato lo Stato nel suo complesso. La magistratura ha delle responsabilità importanti, soprattutto per quanto riguarda la limitazione della libertà personale, in quanto il giudice nazionale deve essere il primo garante dei valori previsti dalla CEDU.

Per questo è necessaria una radicale riforma della giustizia che tenga conto non solo della separazione delle carriere, ma anche dell’esistenza di valori multivello – previsti da convenzioni internazionali come la CEDU o sovranazionali – che possa evitare vicende giudiziarie che, come quella di Toti, troppo spesso, accadono nel nostro Paese.

Giovanni Terrano, 2 agosto 2024

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