Economia

Perché c’è bisogno di una riforma (liberale) del Fisco

L’Italia è il quarto Paese Ocse con il maggior carico fiscale, in crescita dagli anni ’80. Perché la riforma del governo Meloni può segnare una svolta

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Al via la nuova riforma fiscale, approvata nella giornata di ieri dal Consiglio dei Ministri. Oltre alla presenza di Giorgia Meloni a Rimini, per il Congresso nazionale della Cgil, 27 anni dopo l’ultima volta di un Presidente del Consiglio, la spinta dell’esecutivo si è manifestata anche in altri due settori, oltre al mondo lavorativo: quello economico e quello infrastrutturale.

Sotto il secondo profilo, il ministro Matteo Salvini ha dato via libera al decreto legge concernente “disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria”, già denominato Decreto Ponte. In ambito economico, invece, è la riforma fiscale ad essere un passo decisivo per il governo Meloni. Come già riportato ieri sulle colonne di questo sito, tutti i tributi – a partire dall’Irpef, che fin da subito scenderà da quattro a tre aliquote – saranno ridotti e razionalizzati nel giro dei successivi due anni, con l’obiettivo di “favorire investimenti e assunzioni, instaurare un rapporto tra contribuenti e amministrazione finanziaria, nella logica di un dialogo mirato tra le parti secondo le esigenze di cittadini e imprese”, si legge in una nota del Mef. L’intervento andrà a riguardare anche la revisione delle tax expenditures, composta da oltre 600 voci, e l’equiparazione della no tax area per i lavoratori dipendenti.

L’obiettivo di Giorgia Meloni, quindi, sarà quello di riscrivere per filo e per segno il vigente sistema tributario, ormai in vigore addirittura dagli anni ’70. Una misura che può dare una svolta alle politiche economiche degli ultimi governi, incentrate soprattutto su un imperante statalismo, preferendo l’elargizione di sussidi e “mancette”, rispetto ad un indirizzo prettamente liberista, basato sui sani principi di riduzione dell’enorme cuneo fiscale a carico dei contribuenti.

Come riportato dalle statistiche di YouTrend, l’Italia rappresenta il quarto Paese tra i 38 membri dell’Ocse per gettito fiscale (43,3 per cento), superata solo da Austria, Francia e Danimarca (rispettivamente al 43,5 per cento; 45,1 per cento; 46,9 per cento). Tasse sicuramente più alte, tenendo conto, però, che tra questi Stati è solo il Bel Paese ad aver conosciuto una riduzione degli stipendi negli ultimi 30 anni. Addirittura raggiungendo percentuali del 12 per cento, a partire dalla crisi finanziaria del 2008. Per di più, il nostro Paese sta conoscendo una crescita della pressione fiscale a partire dagli inizi degli anni ’80.

Per approfondire:

Come indicato sempre dai grafici di YouTrend, il picco si è avuto con il passaggio dal governo Monti a quello di Enrico Letta, sfiorando l’esorbitante cifra del 44 per cento di cuneo fiscale in rapporto al Prodotto Interno Lordo. Cifre poco invidiabili, rispetto per esempio ai liberisti Regno Unito e Stati Uniti, di gran lunga sotto la media dei membri Ocse (34,1 per cento). Per Londra, infatti, la pressione fiscale si aggira intorno al 33 per cento, mentre per Washington si arriva addirittura al 26,6 per cento, 15 punti percentuali in meno rispetto all’Italia.

La riforma dell’esecutivo Meloni mira proprio a ridurre l’eccessivo carico che grava sui lavoratori italiani. La razionalizzazione e lo scaglionamento fiscale contenuto nel decreto sembra voler seguire la strada del modello anglosassone, mischiando una politica conservatrice – in ambito interno – ed una politica liberista – in ambito economico. A ciò, si aggiunge l’intervento del premier di ieri dal palco della Cgil, secondo cui sono le aziende a creare lavoro e non lo Stato. Un paradigma che è stato molte volte – se non sempre – rovesciato all’interno del nostro sistema.

Meloni vuole abbandonare l’idea di “Stato-papà”, fortemente assistenzialista, composto da procedure macchinose e burocratiche. L’obiettivo? Quello di accompagnamento dei contribuenti attraverso poche e chiare regole, lasciando respirare i contribuenti italiani, dopo decenni di pressing continuo. Finalmente.

Matteo Milanesi, 18 marzo 2023