Non ho ancora capito se Luigi Di Maio e Matteo Salvini siano due sprovveduti fortunati ovvero due politici tatticamente impeccabili, e pure finti gaffeur tipo il Principe Filippo. Sono tanti i paracarri che i loro nemici mortali (i nazareni dei vari livelli) hanno messo e mettono sul loro percorso per abbatterli. Eppure i due, di riffa o di raffa, li schivano, spesso all’ultimo istante, come nei film muti di Charlot. Fortuna? Abilità? Vedremo.
I due avevano capito, come tutti i cittadini, che la classe dominante nel 2011 gabbò la mitica maggioranza silenziosa imponendogli un “podestà straniero” e avrebbe potuta essere dispersa nel 2016, quando tentarono il colpaccio definitivo con un osceno referendum. La maggioranza silenziosa si accorse, in tempo, della trappola, lo bocciò e nel marzo 2018 diede il colpo di grazia al sistema. Il Nord votò per la Lega, il Sud per i cinquestelle, in questo modo li costrinse a mettersi insieme, garantendogli una maggioranza assoluta e costante in corso d’opera, anche a fronte di loro decisioni sciagurate. Al contempo, bocciò sia altri podestà stranieri sia il duo Pd-Fi, considerandoli alla stregua di appendici di +Europa, il tabernacolo ove è custodito il Sacro Graal.
Di Maio e Salvini hanno capito in fretta che, per sopravvivere, devono stare avvinghiati: il murales del bacio fu una profetica genialata. La tattica è quella della Diciotti: fare muro, sempre e comunque, con il sigillo di Giuseppe Conte, se serve.
Di Maio ha compreso che può solo essere il primus inter pares di un quadrunvirato così strutturato: a Davide Casaleggio il rapporto con il business, a Giovanni Conte la rappresentanza internazionale, con Di Battista nel ruolo di battitore libero, sintonizzato con gli elettori più agitati. Roberto Fico, un uomo perbene, che fa politica in modo languido e sofferente, starà tranquillo nella sua teca (Cappella Carafa)? Sa pure che il movimento, a regime, vale il 20%, che è moltissimo.
Salvini presto chiuderà il secondo forno (non può tornare con un Silvio Berlusconi in veloce, imbarazzante declino, ormai arrivato al momento in cui non puoi non volergli bene). Con questo avrà la perenne riconoscenza grillina.
Indipendentemente da come andranno le elezioni europee, i gialloverdi sono obbligati per i prossimi quattro anni, a trovare compromessi (a volte al ribasso, a volte al rialzo), a trangugiare bocconi amari e farli trangugiare ai loro elettori, perché sono condannati a stare al potere insieme. Per loro lasciare il potere prima della scadenza della legislatura sarebbe follia pura. Anche se i pesi elettorali dovessero invertirsi a maggio, nulla cambierà nella forma. Il collante saranno i due momenti topici che si verificheranno nei prossimi quattro anni, uno certo (la nomina del nuovo Presidente della Repubblica), uno probabile (la prossima grande crisi dell’economia che le banche d’affari collocano fra il 2020 e il 2021). Vediamoli:
1. La nomina del successore di Sergio Mattarella (inizio 2022) potrebbe cambiare il Dna politico del paese: competerà a loro due. È probabile che sarà Giuseppe Conte, così potrà completare il suo curriculum.
2. Qualora si verificasse una probabile rottura della faglia politico-economica-culturale, per intenderci una crisi devastante modello 2008 o 1968 o 1789 poco importa, per i due è imprescindibile essere al potere. Lì si daranno le carte per gestire la grande crisi che seguirà.
Per gli stessi motivi le élite cosiddette “competenti”, che hanno dimostrato tutta la loro incompetenza quando sono state al governo, dovranno cercare di allontanare dal potere i giallo verdi con ogni mezzo, lecito e illecito. Per noi apòti sarà un grande, triste, divertissement. Prosit.
Riccardo Ruggeri, 31 gennaio 2019