Da circa una settimana il mondo dei media, soprattutto italiani, è più rilassato: la probabile vittoria di Joe Biden li ha liberati della quotidiana recita, con la maschera triste, che imponeva la temeraria sfida del tutti contro uno, Trump. Adesso finalmente, come cinque anni fa, il mondo tornerà ad essere splendente e ridente. Anche la crisi, la disoccupazione, gli uragani il coronavirus saranno belli con Biden.
Passato guerrafondaio
L’onda blu nessuno l’ha vista, però finalmente gli antifà e i Black Lives Matter potranno smettere l’assetto di guerra, gli assalti agli sbirri: la guerra civile è scongiurata. Niente più inginocchiati. Il vecchietto sorridente preso in prestito da qualche pubblicità per gli apparecchi per l’udito, è egli stesso il vaccino al male. Eppure se c’è un razzista, uno che è molto poco per la famigerata “uguaglianza”, questo è proprio Biden.
Adesso che, finalmente, (forse!) non ci sarà nessun presidente da censurare, quando non si è mai censurato Bin Laden, Khomeyni o Mohamed Morsi, e oggi che De Niro ne gioisce e paragona Trump ad Hitler, tocca rivedere gli sbianchettamenti liberal.
Per quanto, infatti, Joe Biden abbia solo fatto politica in tutta la sua vita, e mai lavorato, in Italia pochissimi conoscono le sue gesta da senatore e vicepresidente, poi. Ha annunciato da sé che il ticket presidenziale con Kamala Harris è stato il più votato nella storia degli States. Ma com’è che l’Upper East Side, Obama, i Blm e lo starsystem ignorano la storia di nonno Joe?
C’era lui a fare da braccio destro di Obama quando Occupy Wall Street, nato sulla scia delle “primavere arabe”, e il successivo sciopero degli insegnanti del Wisconsin, mostravano al mondo l’oppressione della polizia violentemente militarizzata, ma che non scandalizzava.
Sotto l’amministrazione Obama abbiamo assistito alla costruzione di un massiccio, quanto indiscriminato, sistema di sorveglianza per le comunità musulmane americane; l’escalation delle guerre per procura in Medio Oriente, che includevano l’assassinio di cittadini degli Stati Uniti; il numero record di deportazioni di immigrati e la nascita del movimento Black Lives Matter. Obama e Biden sono stati sempre complici.
Integrazione “ordinata”
Biden è stato un precoce astro nascente della politica statunitense. Eletto al Senato per lo Stato del Delaware nel 1973, subito si trovò a gestire la brutta storia della segregazione: la popolazione scolastica di Wilmington era quasi al 90% 90% non bianca e l’86% dei bambini di terza elementare non sapeva leggere. Ma Biden era contro la desegregazione nelle scuole e soprattutto contro il fatto che studenti bianchi e neri frequentassero gli stessi autobus (era una delle proposte per combattere la segregazione!): voleva un’ “integrazione ordinata”.
Il Times riferì inoltre che Biden si schierò dalla parte di Helms (qualcuno si ricorda perché i liberal iniziarono ad odiare il senatore della Carolina del Nord?) nel 1975, quando quest’ultimo propose di privare il governo federale del potere di trattenere i finanziamenti dai distretti scolastici che si rifiutavano di rispettare le misure circa l’uguaglianza razziale. Andava offerta, piuttosto, una bella versione polite della dottrina “separati ma uguali”.
Teatrino liberal
A giugno, nel pieno della corsa presidenziale, i liberal hanno inscenato il teatrino per ripulire l’immagine di nonno Joe: Kamala Harris, da donna di colore, ha chiesto spiegazioni in merito alle sopracitate mosse politiche, dicendosi certa, però, che egli non fosse un razzista. La faccenda s’è risolta con Biden che ha semplicemente risposto che tutte “le sue posizioni erano state riportate male”. E vai con Dio!
Biden ha accettato l’invasione dell’Afghanistan nel 2001 e votato a favore dell’autorizzazione all’uso della forza contro Saddam nel 2002, ma il guerrafondaio era Bush.
Nonno Joe tentò per due volte la corsa alla nomination democratica, nel 1988 e nel 2008. In quest’ultima occasione, fu scelto, poi, come candidato vicepresidente da Barack Obama, risultando dopo la vittoria contro McCain il primo veep cattolico adultissimo della storia degli Usa.
Joe Biden, come era logico aspettarsi, ha concentrato la sua attività da vicepresidente, che nella cronaca internazionale pareva quasi marginale, tutta sulle negoziazioni tra democratici e repubblicani in Senato per far passare iniziative bipartisan e portare avanti l’agenda obamiana. Cosa che gli ha regalato belle amicizie anche in vista della corsa alla Casa Bianca.
Quella con John McCain, capofila dei nemici repubblicani del Presidente, ha sicuramente contribuito a consolidare un asse tra gli establishment democratici e repubblicani volto ad arginare la nuova amministrazione.
Legame con Tito
Il debole di Biden per gli uomini di guerra, però, ben prima di McCain inizia con il maresciallo comunista Tito, nel 1979. Biloslavo ha recuperato la lettera dell’allora senatore a “Sua Eccellenza, il Maresciallo Tito”. I due ebbero una specie di colpo di fulmine: nonno Joe dirà con orgoglio di aver stretto “la mano e incontrato uno degli uomini più affascinanti della sua vita”. Poco male per le mani sporche di sangue del maresciallo, Biden è rimasto per sempre attratto “da quel genio particolare”: così definì il boia comunista che ha rubato la vita agli italiani della seconda guerra mondiale scaraventandoli nelle foibe.
Qualche anno dopo Biden sarà l’eminenza grigia, l’architetto dello “Stato Prigione”, come ha denunciato anche recentemente il senatore afroamericano dem, Jersey Cory Booker. “Usi quella retorica fasulla e dura, ma hai distrutto comunità come la mia”, ha detto Booker. Che ha poi aggiunto, “gli emendamenti di Biden sono stati la più grande sconfitta simbolica per i diritti civili dal 1964”. Ma anche Booker, come Kamala, verrà indotto al pentimento per queste dichiarazioni, non lasciando più la Harris come l’unica donna di colore pronta a sostenere la sua presidenza.
Il riferimento in questione era al Clinton Crime Bill, quando nel 1994 nonno Joe scrisse l’impianto legislativo di quello che passerà alla storia come il Clinton Crime Bill. Le nuove leggi Jim Crow (ricorderete Crow!) – per tanti analisti la legge Clinton relegò gli afroamericani allo stato di quegli anni – estesero la pena di morte a 60 nuovi crimini, irrigidirono le condanne, offrirono agli stati forti incentivi finanziari per la costruzione di nuove prigioni, inondarono le città di poliziotti, contribuirono a portare all’ondata di incarcerazioni di massa che non fecero altro che sostenere la segregazione razziale, rendere la polizia più aggressiva e riempire le carceri di neri: furono loro a subire il peso maggiore degli effetti della legge sul crimine.
Chissà perché i Blm, così nemici delle “vite blu” (la polizia!), non si sono mai espressi in proposito! “I tribunali hanno esagerato nella loro interpretazione di ciò che è necessario per porre rimedio alla segregazione illegale”, diceva nonno Joe in un’intervista del 1975. “Una cosa è dire che non puoi impedire a un uomo di colore di usare questo bagno, e qualcosa di completamente diverso è dire che una persona su cinque che usa questo bagno deve essere nera, così non va”.
Fan suprematisti
Forse è per questo che quando il nazionalista suprematista bianco, Richard Spencer, ha saputo della nomination di Biden, è impazzito di gioia e ha votato per la prima volta un democratico rivendicando e sostenendo il voto per mesi.
Ma il politicamente corrotto va così: ci sono cose da censurare e altre da perdonare e basta. E allora va bene, il razzismo e il suprematismo bianco, basta sia liberal. Va bene l’Ucrainagate, il Groping Joe, il regime comunista cinese che festeggia la possibilità di non dover più confrontarsi con Trump, i Fratelli Musulmani e Teheran che esultano sognando nuove “Primavere arabe” e la fine di tutti i passi avanti che The Donald ha fatto in Medio Oriente, e gli antisemiti che lo guardano come il nuovo Corbyn.
D’altronde si sa che il movimento dei Black Lives Matter è solo un movimento omosessualista mascherato da movimento nero, con altri obiettivi e altre cause, come certifica “The Queering of Black Lives Matter”. E che nonno Joe la pensa come Kamala Harris, “il governo federale dovrebbe trattare i sostenitori pro-life come i segregazionisti”. Evviva la rivoluzione liberal!
Lorenza Formicola, 14 novembre 2020