Era ora che i filosofi facessero finalmente quello che hanno sempre fatto, da Socrate in poi: scendere in piazza e rompere un po’ le uova nel paniere. Cioè, fuor di metafora, porre domande, sollevando dubbi e perplessità, spezzare l’uniformità delle narrazioni ufficiali. Non per opporne un’altra ad esse, sperabilmente, ma per farci vedere il lato traverso delle vicende per poi poter decidere tutti noi, nell’agorà democratico, qual è la strada un po’ meno peggio delle altre da perseguire. È di questo che dobbiamo essere grati a quattro guru del pensiero filosofico italiano che hanno preso la parola in questi giorni e non hanno tradito il loro demone. Alle voci di Giorgio Agamben e Massimo Cacciari, che erano intervenuti nei giorni scorsi, si sono aggiunte ieri quelle di Gianni Vattimo e di Umberto Curi, che ha avuto il merito di allargare il discorso al più ampio problema della gestione politica delle emergenze. Ovviamente, subito si è scatenato il fuoco di fila delle demonizzazioni, il coro del conformismo e delle frasi fatte, che però questa volta non giungeranno a silenziare le voci critiche (in sostanza la moderna cicuta socratica) proprio per la notorietà internazionale e l’autorevolezza dei filosofi coinvolti.
Fra le strategie adottate l’ha fatta da padrone ovviamente quella dello sviamento e della reductio ad ridiculum: come ho già scritto su questo blog, qui non si tratta di essere contro le vaccinazioni (no vax) o di negare il virus (“negazionismo”). Si tratta, più a fondo, di “mettere in discussione” (si prenda l’espressione nel suo significato letterale) la congruità delle politiche di gestione della pandemia, e quindi anche in ultimo di quella misura che più dovrebbe suscitare perplessità: l’obbligatorietà del green pass.
Un’altra strategia adottata è quella vagamente scientista di dire: “ma che volete voi filosofi, perdigiorno che non sapete fare altro che inseguire fumisterie inconcludenti e inutili? Sono gli Scienziati i veri benefattori dell’umanità, e noi loro dobbiamo seguire non voi”. Bene, la dico tutta: i Filosofi hanno molta, ma molta, più voce in capitolo dei Virologi in questo caso. Non sulla individuazione del virus, ovviamente, non sulla ricerca delle cure e dei vaccini più sicuri ed efficienti, ancora e ovviamente. Su questo i Virologi hanno autorità assoluta, tanto che, se casomai dovesse accadere che il filosofo invada il loro campo sarebbe giusto fermarli. Può accadere, forse è accaduto anche nell’ultimo caso, è umano. Per fortuna, tuttavia, nessuno arriverebbe oggi a concepire una filosofia che si fa scienza come fu il famigerato Diamat staliniano! Il laboratorio è il regno dello scienziato non del filosofo: il filosofo deve stare invece in piazza (e ovviamente studiare).
In sostanza, è il filosofo ha i titoli per ragionare sul tutto (non per decidere: per carità!), cioè in questo caso sulle politiche di gestione della pandemia (e sulle conseguenze sulla qualità delle nostre vite e della nostra democrazia); mentre lo scienziato, che si occupa della parte, se pure ce li ha non ce li ha come scienziato ma come cittadino che partecipa, e senza privilegi, alla comune conversazione democratica. In verità, il discorso fra Filosofi e Scienziati è asimmetrico anche da un altro punto di vista: perché, fatta la tara di quel fallibilismo popperiano a buon mercato che tutti sembrano oggi avere introiettato, dallo scienziato ci attendiamo certezze e “verità”, cosa che i filosofi non possono offrire. Lo scienziato sta in laboratorio perché deve perseguire ciò che è “puro”, il filosofo ha a che fare con ciò che è “impuro” per antonomasia. Eppure, quando quei dubbi dei filosofi hanno a loro volta a che fare con il più prezioso dei nostri beni, la Libertà!
Fra gli altri meriti, gli interventi dei filosofi in questi giorni hanno anche dissipato un paio di equivoci. Il primo concerne la filosofia, il secondo la politica. Nel primo caso mi riferisco ai media, che hanno un po’ negli ultimi anni contribuito a diffondere (con la complicità di alcune firme soprattutto della generazione filosofica più giovane): la filosofia non è un’etica, e né tanto meno un’etica applicata; non conforta e né segue il discorso comune, ma è inquietante e perturbante per definizione. Il secondo equivoco è che il discorso sulla libertà che da inizio pandemia stiamo portando avanti non è un discorso “becero” ed “egoista” di una destra “sbracata” che vuole che ognuno faccia i suoi porci comodi: i quattro filosofi sono tutti di formazione e cultura politica di sinistra!
Ps. Umberto Curi ha scritto nel suo pezzo su La Stampa che negli ultimi anni abbiamo scoperto che “la democrazia è buona se si tratta di gestire l’ordinaria amministrazione, ma – come dimostrano le altre “emergenze” ambientale, migratoria, economica – non è in grado di affrontare efficacemente ciò che eccede dall’ordinario”. Ma se l’emergenza è la cifra del mondo globalizzato, giusta la precoce intuizione di Ulrich Beck, come la mettiamo? È questo il problema che travaglia chi ha scritto questa nota e che, nel suo piccolo, ha posto all’attenzione col suo ultimo libro.
Corrado Ocone, 1° agosto 2021