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Perché è ora della pace fiscale

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La proposta avanzata ieri da Antonio Tajani di bloccare le cartelle esattoriali per alcune categorie in difficoltà è una proposta di buon senso. Da una settimana l’Agenzia delle Entrate è ripartita quasi a pieno ritmo. Entro fine anno smaltirà quattro dei 60 milioni di avvisi congelati dall’8 marzo del 2020. Quando si parla di fisco gli animi si scaldano, vieppiù se l’argomento riguarda presunte irregolarità.

La storia è sempre la stessa. Da una parte i virtuosi, o che si sentono tali, che mal sopportano uno sconto sul prezzo dello Stato, che loro hanno pagato per intero. Dall’altra i debitori che lamentano ingiustizie, errori, inversione dell’onere della prova e infine l’impossibilità concreta, economica di tirare fuori risorse che non hanno. In questo caso però gli argomenti per la pace fiscale sono decisamente più forti del solito. Ecco perché.

1. Come tutti sanno, tecnicamente l’emergenza non è ancora finita. Al di là di come uno la pensi sui provvedimenti governativi, è un fatto che lo stato di emergenza sia stato prorogato fino al termine dell’anno. Ma non l’emergenza fiscale, evidentemente.

2. L’esecutivo ha messo in campo una serie di provvedimenti restrittivi della libertà personale e di circolazione. Anche in questo caso evitiamo di entrare nel merito della bontà di queste costrizioni e andiamo sul terreno concreto. Se siamo meno liberi di prima, sia dal punto di vista dei consumi sia dal punto di vista dei redditi, avremo una sofferenza. Perché far finta, solo per gli aspetti fiscali, che tutto sia come prima?

3. Uno dei grandi cavalli di battaglia contro i condoni e le rottamazioni è che una parte dei lavoratori, quelli dipendenti, hanno poco da evadere, visto che la loro busta paga prevede trattenute alla fonte. Ebbene, nei due anni di Covid la gran parte dei dipendenti ha lavorato. Il peso maggiore della pandemia si è sentito su pmi e lavoro autonomo, i primi che oggi avrebbero qualche giovamento dal blocco delle cartelle fiscali.

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