Politica

Perché gli 007 adesso temono Marco Minniti

© ilbusca e Artem Peretiatko tramite Canva.com

Stato di allerta “charlie” nella nostra intelligence (Dis, Aise e Aisi). Sta prendendo corpo una sorta di “Spectre alla ’nduja”, mezza calabrese e mezza romana i cui movimenti hanno messo in subbuglio manager e mandarini dei pensatoi legati alla Farnesina. L’epicentro del terremoto sembra essere la fondazione Med-Or, con la mission di promuovere relazioni nell’area Mediterranea, nell’Africa subsahariana, in Medio ed Estremo Oriente.

Fortemente voluta, nel 2021, dall’allora Ad di Leonardo Spa Alessandro Profumo, Med-Or fu affidata alla guida di Marco Minniti, ex sottosegretario con la delega alla sicurezza e ministro dell’Interno, definito il “Lord of the Spies” dal New York Times, il quale si dimise dalla Camera per assumere il prestigioso incarico. E poco importa che Leonardo avesse già un’altra fondazione presieduta da Luciano Violante che, a sua volta, dopo essere stato un “piccolo Vyshinsky” ed ex tutto, sta creando una sua fondazione che di certo avrà il suo bel da fare, visto che è uno dei “cocchi” di sinistra di questo governo di destra. I rumors che filtrano da Chigi indicano il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, impegnato ad ampliare le ambizioni di Minniti, fiero di aver riaperto i rapporti con gli Emirati e gli israeliani.

Per conformarsi agli standard internazionali, si sta pensando all’ingresso in Med-Or di soci pubblici come Eni, Enel, Ferrovie, Poste Italiane, Terna e Fincantieri, pronte a finanziare le nuove velleità della fondazione per ingraziarsi Super Giorgia. Il raggio d’azione sarà allargato all’America Latina e ad altre aree geografiche dove i nuovi soci hanno interessi strategici. Nel frattempo, in riunioni secretate con i rappresentanti dei futuri soci, presiedute dal capo di Gabinetto per i rapporti con i Servizi, Alessandro Monteduro, un leccese molto pio e in gamba, si sta definendo la futura governance. In pratica, si vuole far diventare Med-Or un nodo strategico dove far convergere le esigenze delle aziende, ricche di dati e informazioni sensibili, e quelle delle nostre agenzie di intelligence. Una prospettiva che fa sudare freddo il Dis, che coordina l’attività dei Servizi, e molti “mandarini” preoccupati dal potere eccessivo che verrebbe messo nelle mani di Marco Minniti.

Non che Minniti sia nuovo alle fondazioni. Insieme a Francesco Cossiga e al generale Leonardo Tricarico, creò la Icsa, una fondazione che si occupa di analisi strategica e di cultura dell’intelligence, a cui poco importa delle polemiche romane e, anzi, ci sguazza come un topo nel cacio. Il consiglio di amministrazione di Med-Or è affollato da dieci consiglieri, tra avvocati, congiunti di parlamentari in cerca di ricollocazione, ex barbe finte, promettenti dirigenti di Leonardo, fino al più lucido intellettuale di destra Pietrangelo Buttafuoco. Ancor più affollato, come un ristorante “all you can eat”, è l’International Board, che conta ben trentadue consiglieri, tra cui un faraone della sanità privata, Kamel Ghribi, che si autocandida da anni come futuro presidente della Tunisia, un vice Cancelliere tedesco, ex ministri degli Esteri, principi sauditi e politici africani. Si conclude ad abundantiam con un comitato scientifico di ben quaranta professori, se volessero potrebbero aprire un’università tutta loro!

Molti avevano preso sottogamba Med-Or, ma quando è stato chiaro che Minniti di fatto stava creando uno strumento parallelo di diplomazia, qualcuno ha iniziato a parlare della fondazione come di «una seconda gamba della politica estera del Sistema Italia». Ipotesi che fa rabbrividire Claudio Descalzi Ad dell’Eni, e preoccupa non poco anche la Farnesina, l’Aspi e l’Ispi. Il mondo delle fondazioni è da sempre terreno fertile per la raccolta di notizie tra aziende e servizi segreti: chi, dunque, meglio di Minniti, poteva gestire questo ambizioso progetto? Per ora c’è parecchia nebbia sull’operato della fondazione, e non sarà certo un caso che il Piano Mattei di Meloni sia stato presentato proprio nella sede di Med-Or, in occasione del “Med-Or Day” nel luglio scorso.

Abbronzato, sorridente, elegante, Minniti è spesso in televisione. Mentre parla sembra mancargli solo il gatto Solomon da accarezzare, come nel film di 007 “Si vive solo due volte”. Ma di vite, Minniti, finora ne ha avute più di due. Dopo una carriera a sinistra, dal Pci ai Ds al Pd, cresciuto sotto l’ala di Massimo D’Alema, nel 2007 lo abbandonò per passare alla corte di Walter Veltroni. Confermando il vecchio detto di Andreotti secondo cui «la riconoscenza è il sentimento della vigilia», prima di diventare ministro dell’Interno nel 2016 con Paolo Gentiloni, in ben due governi, di Enrico Letta e di Matteo Renzi, ricopre il ruolo di sottosegretario con delega ai Servizi e all’aerospazio, facendo infuriare il ministro dell’epoca Ortensio Zecchino. Le sue anticamere erano sempre templi dove regnava il terrore e la sua porta si apriva solo a chi aveva superato i rigorosi checkpoint. Ed è da lì che comincia a tessere la sua trama di rapporti e relazioni che lo porteranno, da uomo di sinistra, a cercare di risolvere, con una politica di destra, il problema dell’immigrazione clandestina.

Tutto cambia perché nulla cambi: l’attuale governo di destra si sente più tranquillo nel coccolarsi i “vecchi” di sinistra, da Violante a De Gennaro. E grazie anche al “Codice Minniti”, che nel 2017 proibisce alle navi delle Ong di raccogliere i clandestini nelle acque territoriali libiche, Minniti ha assunto il ruolo di risolutore spietato; sebbene sia stato un accordo funzionale, è oggi giudicato «disumano» dall’Alto Commissariato dell’Onu per i Diritti Umani. Pentito? Pare di no. Tanto che si dice che stia pensando ad un piano simile con la Tunisia. Del resto, «il Sistema Italia esiste» e «dobbiamo stimolare la cooperazione e governare la competizione», ha affermato Minniti presentando il Piano Mattei di Giorgia Meloni: il potere non ha colore, e come le salamandre, gli uomini d’azione sanno cambiare pelle a ogni giro del sole.

Con questa operazione avallata da Alfredo Mantovano, Minniti si candida a tutto: aspirante leader del Pd o uomo di un governo di destra. Un vero principe machiavelliano. Il fine giustifica i mezzi.

Luigi Bisignani, 20 ottobre 2024

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