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Perché i calciatori scommettono? Non chiamatela “ludopatia”

Il caso scommesse ha sconvolto il mondo del calcio, ma in ogni caso non bisogna parlare di ludopatia: ecco perchè

Quella delle scommesse nel calcio è una vicenda che ha scosso profondamente il mondo del pallone nostrano turbando la sensibilità e le coscienze di un intero movimento e di un intero Paese. Quella che spesso impropriamente (e semplicisticamente) viene definita “ludopatia” è in realtà un disturbo comportamentale definito come Gioco d’Azzardo Patologico (GAP) che rientra nel perimetro delle cosiddette “Dipendenze senza sostanze”; tale forma di dipendenza – vera piaga della nostra società moderna – è a tutti gli effetti parificata ad altre forme di dipendenza che invece implicano l’utilizzo di sostanze quali ad esempio alcol, droghe, tabacco e farmaci. Va sottolineato come sia possibile fare diagnosi di Gioco compulsivo a partire dal 1980, cioè da quando la comunità scientifica lo ha collocato tra i Disturbi del controllo degli impulsi insieme alla Cleptomania e alla Piromania. Ed è corretto ricordare come il Gioco d’Azzardo Patologico sia inserito nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), essendo quindi riconosciuto come patologia con una incidenza significativa sulla popolazione da parte del Servizio Sanitario Nazionale che ne garantisce diagnosi e cura nei servizi per le dipendenze patologiche.

Premettendo che qualsiasi tipologia di gioco illegale va a configurare un reato, ai calciatori è fatto espressamente divieto di scommettere sulla propria disciplina sportiva; qualora venisse infranta tale prescrizione si ricadrebbe nel campo di applicazione dell’ormai famigerato articolo 24 del Codice di Giustizia Sportiva che prevede una squalifica di almeno 3 anni (oltre ad un’ammenda di almeno 25.000 euro). Il quadro della situazione si aggraverebbe ulteriormente qualora un calciatore non solo scommettesse sul calcio ma addirittura scommettesse su partite della propria squadra nelle quali, scendendo in campo, fosse in grado di contribuire direttamente ad influenzare il risultato del match. In tale fattispecie si andrebbe a configurare l’illecito sportivo con violazione dell’articolo 30 del Codice di Giustizia Sportiva che prevede per i trasgressori una squalifica non inferiore ai 4 anni (oltre ad un’ammenda non inferiore ai 50.000 euro).

Al momento è ancora difficile comprendere la reale portata di questa vicenda che sta sconvolgendo il nostro calcio. Tuttavia, in virtù dei primi calciatori coinvolti (Fagioli e Tonali) e delle prime squalifiche comminate, emerge un quadro già piuttosto complesso che verosimilmente potrebbe aggravarsi nelle prossime settimane. In ogni caso, oltre ai risvolti che potrà avere in sede di giustizia ordinaria e sportiva, questa storia accende i riflettori su una problematica estremamente delicata come quella del gioco d’azzardo, della quale si parla troppo poco. Come qualsiasi altra forma di dipendenza infatti può rovinare l’esistenza del singolo che ne rimane vittima ma allo stesso tempo può contribuire a rovinare la vita di interi nuclei familiari e più in generale nuocere alle persone vicine a chi gioca.

Diventa quasi inevitabile quindi porsi alcune domande: perché calciatori, spesso anche giovani, che apparentemente hanno tutto dalla vita, sono famosi e tendenzialmente ricchi, ad un certo punto dovrebbero iniziare a scommettere fino ad entrare nel tunnel del gioco d’azzardo? Perché rischiare di mettere a repentaglio il proprio status e soprattutto la propria carriera, per il gioco? Perché non continuare ad essere “semplicemente” calciatori senza diventare anche “giocatori” nel senso sbagliato del termine? Leggerezza? Follia? Ricerca di emozioni nuove? Difficile trovare una chiave di lettura univoca di fronte ad una problematica così articolata. Per provare a dare una risposta a questi quesiti abbiamo chiesto aiuto a Chiara Pracucci, psicologa e psicoterapeuta esperta in gioco d’azzardo patologico.

La dott.ssa Pracucci afferma come solitamente proprio nel meccanismo del gioco si nasconda una forma di evasione, proibita ma possibile, il cosiddetto “pensiero onnipotente”, alla cui base vi è l’idea di poter essere al di sopra di tutto, anche delle regole. Pensiero questo che talvolta nasce da forme di insicurezza e da una autostima limitata del singolo; soprattutto i calciatori che hanno “bruciato le tappe” raggiungendo giovanissimi popolarità e ricchezza possono non avere la capacità di metabolizzare ed interiorizzare il percorso fatto per arrivare al successo. Ed allo stesso tempo non avere quella maturità indispensabile per gestire la pressione, anche mediatica, che il successo comporta vedendo nel gioco l’opportunità di crearsi un ambiente alternativo a quello reale nel quale sentirsi invincibili.

La dott.ssa sottolinea poi come un’altra caratteristica tipica dei giocatori d’azzardo compulsivi sia quella riconducibile al cosiddetto “pensiero magico”, una sorta di luogo mentale personale ed intimo, un “rifugio della mente” in cui il giocatore costruisce una nuova immagine di sé stesso sganciandosi completamente dalla realtà, dove regole e logica si annullano ed imperversa l’irrazionalità. La necessità di creare un rifugio della mente può nascere sia per tratti caratteriali e personali del singolo sia come forma di reazione ad eventi o situazioni di stress o semplicemente come conseguenza della difficoltà nel gestire certe emozioni, innescando il desiderio di evadere dalla propria routine e scatenando la ricerca di un “luogo” in cui fuggire. Ed in tal senso proprio il gioco offre quell’illusoria opportunità di sentirsi qualcosa di diverso rispetto a ciò che si è nella vita reale.

Il giocatore d’azzardo è irrimediabilmente attratto non tanto dal denaro in sé, quanto invece dall’idea della fuga, della sfida. Il denaro è solamente un mezzo, lo strumento indispensabile alla base del gioco ma non l’obiettivo ultimo dello stesso. È evidente, quindi, come dietro a questa grave forma di dipendenza vi sia un perverso mix di fattori che portano il singolo ad avvicinarsi al mondo delle scommesse fino poi a farlo cadere nella trappola del gioco. Per quanto drammatica, la vicenda delle scommesse nel mondo del calcio ha avuto quantomeno il merito di accendere i riflettori dell’opinione pubblica su una problematica così delicata e così diffusa. L’auspicio a questo punto è che si acquisisca una maggiore e più ampia consapevolezza in merito alla gravità della stessa e che anche quando si “spegnerà” il clamore mediatico sulla vicenda – e non troverà più spazio nelle prime pagine dei giornali – tale piaga non finisca nuovamente nell’oblio. In ogni caso non chiamatela “ludopatia”, nell’azzardo non c’è niente ludico, sociale e creativo; l’azzardo è solitudine, automatismo, disagio. Nessuno si ammala di un gioco ludico. Quella per le scommesse è azzardopatia.

Enrico Paci, 24 ottobre 2023

*articolo realizzato con l’aiuto della dottoressa Chiara Pracucci, psicoterapeuta esperta di ludopatia

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