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Perché i comunisti odiano ancora Craxi

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di Rino Cammilleri

Come spesso accade nella storia, certi personaggi politici che, pur controversi, hanno contrassegnato un’epoca, continuano a dividere anche dopo la loro dipartita. Così fu di Craxi, il quale è passato in alcuni anni dalla gogna giudiziaria e mediatica all’attuale rimpianto anche cinematografico. Come Mussolini, ha generato schiere di nostalgici, ma anche di inesausti detrattori nonché di ex nemici che rendono onore al vinto che non può più nuocere. Val la pena, dunque, di riassumere brevemente la sua «era».

L’anti-comunista

Proprio la distanza di tempo può far sì che la storia sia davvero maestra di vita, visto che, se il craxismo è finito, quelli che ne fecero parte ci sono ancora e, come gli ex democristiani, si sono spruzzati trasversalmente nei due schieramenti che oggi si fronteggiano. Il grande merito di Craxi fu, certamente, l’aver rotto le uova nel paniere ai comunisti. Questi, dopo decenni di pazientissima marcia di avvicinamento ai democristiani al fine di operare il famoso «compromesso storico», proprio sul filo di lana si videro scippare la coppa da Craxi. Abituati da sempre al frontismo, cioè a considerare i socialisti come loro succubi, improvvisamente si accorsero che il maggiordomo aveva sostituito il promesso sposo nel letto nuziale.

Nell’era di Berlinguer avevano minuziosamente studiato l’esperimento cileno: in un Paese allora molto simile all’Italia per mentalità e cultura i comunisti erano andati al potere per la prima volta senza colpi di mano ma tramite un’alleanza di fatto con i democristiani locali. Là, certo, le cose erano andate a monte per via del golpe militare di Pinochet, appoggiato dagli americani. Qui in Italia, tuttavia, questo rischio non si correva: l’unico intoppo era rappresentato dalla presenza del Vaticano, ma a questo avrebbe pensato la sinistra democristiana, da sempre desiderosa di coinvolgere i comunisti nelle responsabilità di governo, convinta che ciò ne avrebbe stemperato la carica rivoluzionaria. A questo miravano formule sofistiche come «convergenze parallele», «allargare la base democratica», «arco costituzionale» (che di fatto escludevano il Msi, cioè il quarto partito italiano, dal gioco politico per dare un contentino al Pci e sapendo di poter contare lo stesso sui voti missini).

Prezzo da pagare

Ma sorse la stella di Craxi, e il Psi fu lesto a scippare il connubio sostituendosi al Pci nell’abbraccio con la Dc. Furono i socialisti di questo neue kurs a «sdoganare» non tanto il Msi quanto uomini e intellettuali di quell’area, a ripristinare il tricolore e il patriottismo italiano (i pellegrinaggi a Caprera, la raccolta di cimeli di Garibaldi…), perfino a farsi garanti col Vaticano (operazione culminata nel nuovo Concordato del 1984). Così, la conventio ad excludendum si volse contro i comunisti (i quali, però, gliela giurarono). Celebrato questo trionfo, tuttavia, i socialisti dovettero fare i conti col prezzo da pagare. Innanzitutto, per mettere i bastoni tra le ruote al compromesso storico avevano vezzeggiato l’estremismo di sinistra, con tanto di visite in carcere a terroristi e ministri che andavano a colloquiare con latitanti d’oltralpe.

Già: l’estrema sinistra aveva fatto la sua parte nel binomio paura-simpatia con cui la dottrina leninista e quella gramsciana si erano aperti faticosamente la strada per tutti gli anni Settanta; a compromesso storico consumato, il Pci avrebbe avuto l’interesse a presentarsi come partito d’ordine («di lotta e di governo», ricordate?) e liquidare le teste calde piazzaiole. Dunque, era necessario carezzare queste ultime, «tradite» dai «compagni». Infatti, fu durante gli anni Ottanta che molti leader estremisti guadagnarono ambite poltrone in parlamento ma soprattutto nei media. Restava da affrontare il potentissimo sindacato, da sempre braccio del Pci nelle fabbriche. Era un azzardo, certo, ma i tempi erano maturi: e fu il referendum che abolì la scala mobile.

Purtuttavia, i nodi vennero al pettine lo stesso. Delle altre grandi forze popolari, una aveva come punto di riferimento il Vaticano: un rapporto complesso, certo, e quasi mai improntato a fedeltà, ma che pur sempre rappresentava un vincolo. L’altra, aveva l’Unione Sovietica e, almeno in teoria, l’ideale comunista. I socialisti non avevano mai avuto l’uno e, a quel punto, non avevano più l’altra. Privi, ormai, di qualsiasi riferimento ideale, scivolarono nell’edonismo discotecaro e da terrazze milanesi «da bere». In più, non avevano quelle possibilità di finanziamento extra che non erano mai mancati a democristiani e comunisti. Cominciò così quella ossessionante campagna contro l’evasione fiscale, vera o presunta, con slogan governativi del tipo «Io pago le tasse, e tu?», la demonizzazione di intere categorie, come i commercianti, il taglio delle pensioni (apice col governo Amato).

Dubbi su Sigonella

E venne accentuata quella politica filo-islamica cui già da tempo i governi democristiani avevano messo mano. La dipendenza energetica italiana da questi Paesi divenne totale e uno dei prezzi da pagare fu il referendum antinucleare che vide i socialisti schieratissimi. Fu allora che disperdemmo un patrimonio di centrali e competenze che, oggi, ci fanno essere indietro di almeno vent’anni agli altri Paesi del G8. Il tanto celebrato (dagli antiamericanisti) incidente di Sigonella fu il corollario di questa politica: pur di riconsegnare ai palestinesi i terroristi che avevano sequestrato una nave italiana (italiana!), si rischiò un conflitto armato con gli americani della presidenza Reagan (quella cui dobbiamo la messa in ginocchio dell’Unione Sovietica).

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